Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore inglese ADAM THIRLWELL, autore del romanzo "TENERO & VIOLENTO" (Guanda - traduzione di Riccardo Cravero).
Adam Thirlwell è nato nel 1978. Vive a Londra. È stato segnalato fra i migliori narratori britannici delle nuove generazioni dalla rivista «Granta».
Adam Thirlwell ha scritto a Letteratitudine per raccontare il suo nuovo romanzo intitolato "Tenero & Violento", pubblicato in Italia da Guanda con la traduzione di Riccardo Cravero.
Sul post troverete il contributo di Thirlwell tradotto in italiano e, a seguire, la versione originale in lingua inglese. Ne approfitto per ringraziare l'autore e l'ufficio stampa di Guanda per la cortese collaborazione.
P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso Falcones, Joe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez, Gabrielle Zevin, Caroline Vermalle, John Scalzi, Amos Oz, Maylis de Kerangal, Pierre Lemaitre.
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ADAM THIRLWELL scrive a Letteratitudine per raccontare il suo romanzo "TENERO & VIOLENTO" (Guanda - traduzione di Riccardo Cravero)
di Adam Thirlwell
Premessa: è da molto tempo che volevo scrivere un romanzo ambientato nelle periferie. Queste periferie, in origine, si sarebbero dovute basare in maniera piuttosto approssimativa sui dintorni di Londra. Poi, la Londra che ne è venuta fuori ha subito una certa tropicalizzazione - con nuova fauna e nuova flora. In un certo senso questo luogo a cui pensavo è diventato ovunque, e da nessuna parte. Del resto, se c’è una cosa davvero strana della periferia è proprio la sua non specificità: la sua orizzontale e globale vaghezza. Ovvero, come dice la voce narrante del mio romanzo, “Tenero & Violento” : “Scegli qualunque parte del globo ti piaccia, da Kabul a Santiago ti imbatterai nello stesso paesaggio. Perché in realtà la maggior parte degli abitanti di Kabul non vive all’interno della città, ma ai suoi bordi, dove Kabul si disintegra tra luci smisurate e grandi strade vuote, il genere di strade in cui persino il marciapiede è abulico e ci sono solo pochi lampioni, alimentati da generatori di fortuna riposti dentro baracche prefabbricate. Oggi la maggior parte della gente vive in posti come questi, e dunque quando ci si sposta in una città qualunque, in un modo o nell’altro, ci si ritrova a casa; basta allontanarsi un po’ dal centro: non troppo, ma quanto basta”.Ho pensato che un’ambientazione di questo tipo si sarebbe potuta prestare meglio per approfondire la conoscenza di alcune delle principali stranezze che altrove sarebbero rimaste invisibili: problemi connessi a come trascorrere il proprio tempo, o vivere la propria vita. Le grandi questioni metafisiche.
La maggiore stranezza è stata una voce, o un modo di pensare, che ho cominciato a sentire intorno a me. Sì, così come per l’ambientazione, ho voluto usare un narratore molto particolare. D’altra parte la voce narrante che il romanziere può decidere di adottare è come un giocattolo sconosciuto, molto più imprevedibile di quanto si possa pensare. Non è qualcosa di tristemente ordinario come un personaggio. Ci sono voci narranti o tonalità espressive che meglio di altre si prestano per esplorare questa difficile relazione che si instaura nel centro più nascosto di ogni forma d'arte: quella cioè che intercorre tra lo scrittore e il lettore (o lo spettatore). Sebbene possa sembrare che queste tonalità espressive esistano solo nei romanzi, in realtà è possibile riscontrarle anche altrove, come quando ci si sforza di far comprendere il significato recondito di un monologo, o si cerca il modo giusto per rivolgersi a qualcun altro. Può essere loquace, consapevole, sovraeccitata, affascinante, e persino internazionale, ma ciò che rende la voce narrante così peculiare dipende dal fatto che i Narratori a cui mi riferisco appartengono a una sorta di confessione progettata per esonerarli da ogni responsabilità. Che cosa potrebbe essere più pericoloso di qualcuno convinto della propria bontà, o della propria innocenza? Qualcuno che crede che ciò che sente è molto più importante di ciò che realmente fa?
È una voce di questo tipo che ho cominciato a percepire intorno a me. Non so nemmeno come chiamarla. Mi sembra una categoria non ancora descritta. Quindi chiamiamola in un modo ossimorico e impossibile. Chiamiamola Innocente/Corrotta. Ha dei precursori, ovviamente - in Hamsun, o nello Zeno di Italo Svevo. Ma la versione che stavo sperimentando era forse più pericolosa, perché molto più convinta della sua bontà.
In altre parole, ho trovato un’ambientazione, e ho trovato un narratore. E questo narratore aveva uno scopo particolare nella sua vita: il piacere, o la felicità. C'è una sequenza che ritengo piuttosto struggente: “Dimmi solo questo: se stessi per morire, preferiresti che te lo dicessero, o che morissi all’improvviso? Perché io vorrei morire all’improvviso, senza che nessuno mi dica nulla. Alla fine, preferisco più felicità a più verità.” Sebbene questo atteggiamento possa sembrare volutamente disinvolto o superficiale, il motivo per ammirare questo narratore senza nome potrebbe essere determinato dalla sua capacità di indurre a domandarsi se ciò che a prima vista sembra problematico o inusuale celi, in realtà, una verità più profonda. Tutto ciò non potrebbe già fornire un motivo per svolgere questa attività silenziosa chiamata leggere? Per esplorare piccole strade pericolose, i piccoli folli dialoghi con noi stessi che non potremmo mai avere in pubblico? È come quella splendida immagine finale offerta dal romanzo di Proust: “Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che è offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza il libro, non avrebbe forse visto in se stesso”.
E così ho lasciato che il narratore di questo mio libro potesse scatenarsi. Certo, l’inizio è abbastanza duro - con il narratore che si sveglia accanto a una donna che non è sua moglie, una donna che è anche incosciente e sanguinante dopo una notte trascorsa a base di sostanze stupefacenti. Ma questo, cari lettori, è solo l'inizio. Ciò che succede dopo ha a che fare con inseguimenti in auto, rapine, orge - e una sanguinosa vendetta finale. Eppure, per tutto il tempo, accadrà qualcosa di molto tranquillo – perché ciò che in apparenza potrebbe sembrare come una sorta di b-movie, o un noir, o un thriller, non è altro che un giocattolino finalizzato alla corruzione del lettore. Voi penserete di leggere un romanzo, mentre in realtà tutti i valori morali che davate per scontati verranno smantellati senza che ve ne rendiate conto.
(traduzione dall'inglese di Massimo Maugeri)
[Un estratto del libro è disponibile qui]
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© Adam Thirlwell - Letteratitudine
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On Lurid & Cute
by Adam Thirlwell
To set the scene: for a long time I wanted to write a novel that would take place in suburbia. But although this suburbia would be based very roughly on the way-out environs of London, this version of London has undergone a certain tropicalisation – with new fauna and flora. It has become everywhere, or nowhere. Because one thing which is so strange about suburbia is how non-specific it is: it’s this horizontal global vagueness. Or, as the narrator of my novel, Lurid & Cute, puts it: ‘Take your pick wherever on the globe you like, in Kabul or Santiago, the same landscape is there before your eyes. Because in fact most inhabitants of Kabul do not live precisely in that city but instead on its edges, where Kabul disintegrates into vast light and vacant streets, the kind where the pavement is listless and there are only a very few streetlights, maintained by random generators in concrete huts. That’s where most people are nowadays, and it means that when you travel to any city of your choice you can find yourself at home, just so long as you get out far enough, not too far but just enough.’
For my idea was that in that kind of landscape you might come to be able to investigate major strangenesses that were otherwise invisible: problems of how to spend your time, or live your life. The giant metaphysical questions.
And the major strangeness was a voice, or way of thinking, that I felt I was hearing all around me. Yes, as well as a landscape, I had a very specific kind of narrator I wanted to use. Because a narrator is a much stranger toy at the novelist’s disposal than is usually thought. It’s not just something as depressingly ordinary as a character – more a vast system of smuggling. And there’s one kind of narrative voice or tone in particular that offers a way to explore that difficult relationship at the hidden center of every art form: the one between writer and reader (or spectator). Although this tone seems to exist most easily in novels, it isn’t only to be found there—it appears wherever anyone tries to figure out what a monologue might mean, or how to talk to a you. It is garrulous, self-aware, hyper, charming, and occurs internationally, but what makes the voice a form is this: Narrators of the kind I mean are adepts of a confessional mode that’s actually designed to exonerate them completely. What could be more dangerous than someone convinced of his own goodness, his own innocence? Someone who believes that what he feels is far more important than what he actually does.
That was the form I was beginning to perceive around me. I have no idea what name to give this voice I’m talking about. It seemed to me an as yet undescribed category. So let’s call it something oxymoronic and impossible. Let’s call it the Innocent/Corrupt. It has its precursors, of course – in Hamsun, say, or Italo Svevo’s Zeno. But the version I was seeing was perhaps more dangerous, because much more convinced of its own goodness.
In other words, I had a location, and I had a narrator. And this narrator of mine had one particular aim in life: which was pleasure, or happiness. There’s a sequence of his which I think is kind of poignant: ‘just tell me this: if you are going to die, do you prefer to be told, or die at once? Because me, I would like to die at once, with no one telling me anything. For in the end I prefer more happiness to more truth.’ And while this might seem wilfully casual or frivolous, one reason to like or admire this nameless narrator might be his way of making you wonder if in fact what at first seems problematic or unusual might conceal a deeper truth. Couldn’t that be one reason to do this silent thing called reading? To explore small dangerous avenues, little crazed dialogues with ourselves that we might not have in public? It’s like that wonderful image at the end of Proust’s novel: ‘Every reader, as he reads, is actually the reader of himself. The writer's work is only a kind of optical instrument he provides the reader so he can discern what he might never have seen in himself without this book.’
And so it was that I let this narrator run wild. Sure, it begins quite wild – with the narrator waking up beside a woman who is not his wife, a woman who is also unconscious and bleeding after a night of high narcotics. But that, dear readers, is only the start. What happens next involves car chases, heists, orgies – and a bloody revenge finale. And yet all the time, something very quiet is going on – for what looks like some kind of b-movie, or noir thriller, was intended as a small toy for the reader’s corruption. You think you are reading a novel, but really all the moral values you took for granted are being dismantled without you knowing.