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Dopo aver passato i trent’anni i conti cominciano a tornare, dev’essere così, perché oggi, forse per colpa del caldo, ho realizzato che finora mi sono sempre interpretato male. Ogni volta che ho creduto di non essere orgoglioso, e di essere umile e gentile, ad esempio, io ho sempre sbagliato, perché in verità sono orgogliosissimo, in un modo spaventoso. Nel piano cartesiano dell’orgoglio umano, il mio picco arriva così in alto che non si vede, per questo mi è sfuggito.
Un tipo mediamente orgoglioso, di solito, è uno che se gli dici “non hai le palle” per costringerlo a fare una cosa che non vuole fare, te la fa subito senza badare alle conseguenze, per dimostrarti appunto che ha due palle così. Un tipo molto orgoglioso, invece, è uno che se gli dici “non hai le palle” per costringerlo a fare una cosa che non vuole fare, quello prima ti picchia e poi fa la cosa di cui sopra, sempre senza badare alle conseguenze, e sempre per dimostrarti appunto che ha due palle così.
Il mio orgoglio fuori scala, invece, è tale che prova un ribrezzo mortale all’idea di dover dimostrare qualcosa a qualcuno: questa sarebbe una sconfitta umiliante, rischiare di stare al gioco degli umani ogni volta che se ne presenta l’occasione è la trappola per eccellenza, e l’unica soluzione possibile, per non sporcarsi le mani e l'anima, è l’ascesi, la non partecipazione, l'astensione esistenziale.
Davanti a una frase del tipo “non hai le palle”, o a una forzatura qualunque usata nel bene e nel male da altri per costringermi a fare una cosa che non voglio fare, il mio orgoglio smodato prende e mi teletrasporta direttamente nell’Iperuranio, e da lassù io mi ritrovo a guardare dei piccoli mucchietti di carne che si muovono ed emettono suoni, e lo so che sembra incredibile, ma addirittura queste merdacce avanzano anche pretese nei miei confronti.
Fammi capire: un cazzo di scarto dell’evoluzione come te, sopravvissuto alla selezione naturale per colpa di una colossale ingiustizia, sta davvero cercando di forzare la mia volontà a fare quello che vuoi tu, attraverso il giochetto dell’orgoglio e del ‘non ci hai le palle’? Ma che davvero? Tu, proprio tu che stai seriamente considerando la possibilità che io possa cascarci, appartieni alla mia stessa specie? Io ho davvero qualcosa in comune con te? Cristo Santo, il mondo è veramente un posto orribile, è evidente che non c’è nessun Dio a gestire la giustizia, e tu non aspettarti che io ora venga lì con tutto il mio orgoglio e la mia virilità a farti sputare il pancreas: io non tocco schifezze e non picchio i disabili, ci mancherebbe altro. Io tutt’al più soffro, soffro perché in questa valle di lacrime purtroppo nascono ancora girini deformi pelosi come te e la Costituzione del mio paese dice che siamo uguali, merda. È per questo che mi stai facendo soffrire, capisci? Che poi è ovvio che non capisci, quel ‘capisci’ è solo un modo di dire, però ecco, le cose stanno così: un uomo che sta a questo tipo di gioco e si impegna davvero per dimostrarti quanto vale - solo perché tu vuoi saperlo - non è un vincente orgoglioso, è un coglione. Quell'uomo non lo sa, ma ha appena perso, perché ha accettato un pacchetto di regole e consuetudini imposto da altri, non ha un cazzo di cui essere orgoglioso; questa è una roba di controllo sociale vecchia come il mondo, è il giochetto 'onore/vergogna', e io non mi abbasso di certo a questo livello, ho finito da un pezzo di giocare con i bambini.
Con i bulletti, con i miei genitori, con i professori che volevano motivarmi, con qualunque capoufficio o superiore, con la società intera e con tutte quelle persone che hanno provato, negli anni, a distillare, a spremere, a tirare fuori qualsiasi cosa da me, io sono stato una saracinesca di orgoglio adamantino, sono stato orgoglioso in un modo abnorme, perché non ho permesso a nessuno di fare niente con me, tranne quando era proprio inevitabile. Io ho passato i miei primi trent’anni a dire a tutte le forme di vita senzienti che ho incontrato (cioè a non-dire, sperando che lo capissero da soli, perché non mi sarei mai abbassato a spiegarglielo): se otterrete qualcosa da me, sarà per necessità, sarà solo per questioni di causa-effetto che io non posso controllare, ma offrirvi la mia sincera partecipazione e tutto quello che occorre per realizzare tra me e voi un vero scambio costruttivo di umani significati, cazzo, questo no, questo è troppo fottutamente prezioso e non voglio sprecarlo con voi, sarebbe come tenere una lectio magistralis alle formiche.
Io non vi ho mai autorizzati a pretendere qualcosa da me, non posso svendermi solo perché qualcuno dice che la società è competitiva e che bisogna dimostrare quanto si vale, oppure perché uno qualunque di voi arriva e mi lancia un’esca emotiva per costringermi a fare qualcosa. Tu pensi davvero che io sia un idiota qualunque che cede subito appena gli si fa leva sull'orgoglio? Secondo te, quanta voglia ho di stare al tuo gioco e di farti contento?
Sul serio, non vi rendete conto di quanto non mi interessi se siete in buona fede, se avete davvero ragione e se questo qualcosa che volete tirarmi fuori potrebbe fare bene a me e voi: io non faccio proprio un cazzo di niente, piuttosto mi chiudo come un riccio solipsistico e passo la vita a protestare con lo sciopero della volontà. Non starò mai al vostro gioco di società, non vi concederò un’unghia di vera partecipazione, almeno finchè non smetterete di pretendere in questo modo che io lo faccia.
Se mi lascerete in pace, se mi risparmierete le vostre convinzioni e convenzioni sociali del cazzo, se mi tratterete come un’anima indipendente che non è assolutamente tenuta a conformarsi alle vostre stronzate, allora forse i vostri giudizi torneranno a contare qualcosa.
E insomma, è complicato spiegare come ci sono arrivato, ma finalmente adesso ho davvero la misura di quanta vita ho dedicato ad essere stupido, nonchè di quanto sia stato quasi sempre questo mio orgoglio a determinare le mie scelte. È stato lui, non è stata la mia volontà, c'era lui a tirare i fili, adesso lo so, e non mi interessa se il mio orgoglio è pur sempre roba mia: il bastardo non dovrà mai più azzardarsi a scegliere per me.
Sono troppo orgoglioso per permetterglielo.