In Le souvenir du bonheur est encore du bonheur ( Il ricordo della felicità è esso stesso felicità, tradotto in Italia da Nilo Pucci, per Fazi Editore, con il titolo più impalpabile La notte... l'attesa) Salvatore Adamo trascende la propria immagine popolare di cantautore in quella, certo più intima ed esclusiva, di scrittore; il titolo fa riferimento al celebre brano La notte (1965), una delle canzoni più rappresentative del repertorio di Adamo. Non un'autobiografia romanzata ma un coraggioso innesto tra vissuto memoriale e invenzione letteraria.
Il protagonista è Julienne, che come Adamo è un "rital" ossia un figlio di emigrati italiani in Belgio. Tutta la storia si muove tra Italia e Belgio, tra il sole arcaico accecante della Sicilia (Adamo è originario di Comiso, Ragusa, classe 1943) e il grigio brumoso del territorio belga, un'oscillazione atmosferica e linguistica che intreccia passato e presente in un nodo di inestricabile nostalgia. Se il Borinage sprofonda metafisico e misterioso in una miniera di carbone, una Trinacria mitica emerge dal lontano mare dell'infanzia, ma non c'è separazione, tutto è chiamato a sovrapporsi in un'istantanea più pittorica che narrativa. Alla generazione dei padri - quel disarmato esercito salito al nord nel tardo dopoguerra per cercar fortuna, padri abbruttiti dal nero
Alla storia si sovrappone un noir, un piccolo giallo che man mano va sciogliendosi sul finale, ma il vero nucleo del romanzo scorre in parallelo, in un'esperienza di vita raccontata sottovoce, e con un linguaggio letterario che ibrida con efficacia la lingua italiana a quella francese, tra dialetti regionali, locuzioni dell'argot, licenze slang, giochi di parole, proverbi siciliani... una straordinaria ricchezza linguistica, con continui rimandi alla pittura del Novecento (dai blu assoluti di Yves Klein ai riassemblaggi improbabili di Arman). Su tutte le iconografie trionfa però quella di Magritte, e non a caso La notte... l'attesa si apre con questi versi: "Dal fondo della prigione invocherò Magritte, prima che le unghie si rompano al muro della ragione". La sicilianità riaffiora saggia e autoritaria in certi proverbi: "Chu uffenni scrivi nà rina, l'uffisu rispunni no marmu" e in certe credenze: "...Tieni, da parte di mia madre, porta male rompere una tazza. Bisogna rimpiazzarla al più presto, se no viene il malocchio". Pennellate di folklore intinte nel colore vivo di un'isola antica, perduta troppo presto ma sempre ritrovata nelle memorie d'infanzia, in quel souvenir du bonheur che lega nel presente il passato e il futuro. Nel Julienne trasognato e sognante, in balia di un destino capriccioso e imprevedibile, Piga individua bene un passamuri, ossia un fantasma, una figura sincera e trasparente che attraversa e si lascia attraversare (dalla vita, dalla morte, dall'amore, dall'arte, dalla lingua), un'anima gentile che tenta di orientarsi in una realtà sempre ambigua e soffusa.
La struttura evocativo-simbolica del romanzo, che solo tra le righe cede alle confessioni dell'autobiografia, si rivela più compiutamente nei risvolti del finale: Julienne cambia "mestiere", rinuncia al rituale funebre per abbracciare quello vitale (espressivo, sperimentale) dell'arte, quindi apre una Galleria e organizza una grande mostra collettiva e multietnica. Nei colori della festa tutto si riconcilia, si recupera e si riformula. "Quanto a me, - dichiara Julienne-Adamo nell'epilogo - sono sempre nell'arte. Ho conservato la nazionalità italiana per fedeltà a mio padre e alle mie radici. [...] Voglio onorare la mia Sicilia. Sì, sono siciliano.".
Leone Maria Anselmi
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