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Addendum a "Il senso del tempo"

Creato il 05 gennaio 2014 da Giuseppe Bonaccorso @GiuseppeB

Hopper-morning-in-a-city-1944Rileggendo Camus ne L'uomo in rivolta, ho trovato un'ulteriore chiave di lettura dell'interpretazione auto-soggettiva del mio ultimo romanzo "Il senso del tempo". Considerando il tempo nei suoi momenti principali (passato, presente e futuro), difficilmente si può riuscire a comprendere quale possa essere il nesso (se mai esiste) tra senso e non-senso, tra il "fu" e il "sarà". Tuttavia, spostando l'attenzione ad un livello più alto, è possibile definire tre stadi del tempo che, semanticamente, offrono una chiave di lettura più accurata.

Parlo di: mito, storia e Dio. Il mito, considerando la storia come un divenire innescato e inarrestabile, intrinsecamente "astorico", poichè definisce il suo tempo e ne determina l'evoluzione in modo quasi completamente deregolamentato. Ciò che è mitico, è quindi al di là del tempo dell'essere e del divenire, ovvero è archetipico anche nel suo manifestarsi quale tessuto infra-temporale. Esso definisce il suo tempo e quindi, inevitabilmente, definisce un non-tempo, poichè questo si sottrae all'azione del singolare per lasciarsi eternamente cullare dall'universale.

La storia, al contrario, affonda le sue radici nel tentativo ateologico di definire un universale umano che trascenda l'esistenza senza far riferimento ad elementi divini. Chiaramente, l'ultimo termine si presenta, a questo punto, in modo del tutto naturale: l'impossibilità di governare la storia, di osservarla quale universale (poichè un singolare non potrà mai abbracciare il tutto), ha portato, nel corso dei secoli, alla definizione teologica di un ente trascendente (Dio) costretto ad essere al di là dell'esistenza umana (Antico Testamento) o umanizzato e quindi "materializzato" nella sua essenza (Nuovo Testamento).

Gabriele Cipriani, protagonista de "Il senso del tempo", sperimenta tutte e tre le forme temporali e, in particolare, coglie la contrapposizione tra il senso e il non-senso, proprio nell'osservazione tra corso storico (caratterizzato dal continuo presentarsi delle possibilità - elemento di maggiore frustrazione esistenziale -) e quello "pseudo-divino", dove ogni essere in-sè (sartrianamente parlando) può contemplarsi nel dispiegarsi delle sue azioni senza il rischio di vedere l'evanescenza di questo contatto. L'uomo de "Il senso del tempo" è condannato alla sua umanità, non si lascia ingannare dall'illusione teologica, ma è anche consapevole della natura mitica della sua psiche.

Sisifo, Prometeo, Eco, Pan sono tutti archetipi che mostrano all'uomo una dimensione congelata della sua essenza che, nè la storia, nè tantomeno la divinità, possono dinamicizzare e porre in condizione dialettica. La "condanna" all'impossibilità di concretizzare la decisione senza la conseguenza di un'esclusione traumatica, il ripetersi atemporale (e quindi astorico) dell'errore (tutt'altro che diabolico), la frustrazione come medicina per un male peggiore (la stasi dello spirito intrappolato tra le maglie di un materialismo alienante), sono tutti elementi mitici, che lasciano altalenare la decisione tra senso e non-senso, in un'infinito rincorrersi di momenti muti.

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