13 GENNAIO – Si sono tenuti oggi i funerali dello stratega militare ed ex primo ministro dello Stato di Israele, Ariel Sharon, morto lo scorso 11 gennaio dopo otto anni di coma. È stato una delle figure più significative della storia israeliana recente, tanto da essersi meritato il soprannome di “bulldozer” per la sua capacità di perseguire l’obiettivo della creazione di uno stato libero. Nato nel 1928 da una famiglia ebrea bielorussa sfuggita ai pongrom e giunta nella comunità socialista di Kfar Malal, Sharon si distinse fin da subito per la sua abilità nel dirigere le truppe armate israeliane e per l’insofferenza verso il rispetto alle regole militari convenzionali. Prese quindi parte alla guerra dei Sei Giorni nel 1967 e poi alla guerra del Kippur nel 1973, entrambe scoppiate nella regione del Sinai. Sfondò le linee egiziane con la sua consueta indisciplinatezza, disorientando il nemico che poteva contare su circa 16mila soldati e guadagnandosi il soprannome di “re di Israele” e “Leone di Dio” presso l’opinione pubblica israeliana.
«Ha solo il difetto di non dire la verità», notò l’allora premier Ben Gurion. Come ministro della Difesa, nel 1982 Ariel Sharon diresse poi le operazioni della guerra del Libano e ricoprì numerosi incarichi governativi tra il 1996 e il 1999. Nel 2000 divenne leader del partito del Likud e, l’anno successivo, vinse le elezioni e divenne Primo Ministro.
Non fu però tutta rose e fiori la sua ascesa al potere in quegli anni. Visto con ostilità dai media, a Sharon venne presto attribuita la colpa per il rallentamento delle operazioni di pacificazione tra il popolo israeliano e quello palestinese. Nel 1983 una commissione governativa israeliana lo additò quale principale responsabile dei massacri avvenuti durante la guerra del Libano nell’anno precedente. In quell’occasione, Sharon aveva marciato su Beirut, scacciando Arafat. Nel settembre 1982, inoltre, migliaia di palestinesi erano stati massacrati da falangisti libanesi a Sabra e Shatila. Sharon lasciò quindi l’incarico dal ministero della Difesa ma non demorse e così, incarico dopo incarico, nel 2001 si guadagnò l’elezione a Primo Ministro con il partito del Likud.
Nel 2000, la sua passeggiata sulla spianata delle moschee a Gerusalemme scatenò la seconda intifada. Cinque anni dopo, fu sempre lui a ordinare la fine della quarantennale occupazione della Striscia di Gaza e l’espulsione di 8mila coloni. Il partito si spaccò. Alleatosi con Shimon Peres, nei suoi ultimi anni Sharon preparò allora un nuovo piano per assicurare la vittoria alle truppe israeliane in Cisgiordania e per vincere, con la lista di centro Kadima, le elezioni del 2006. Il 4 gennaio di quell’anno, però, fu colpito da un ictus e gli ultimi 8 anni della sua vita è rimasto sospeso in uno stato vegetativo profondo.
Oggi, in occasione dei funerali di un personaggio tanto amato dagli Israeliani quanto controverso, le misure di sicurezza sono state tra le più ferree ed imponenti. Il lancio di razzi durante le esequie alla Knesset, il Parlamento israeliano, è stato vietato. La salma del “Leone” è stata inumata accanto a quella della moglie Lili nella fattoria dei Sicomori, la tenuta di famiglia nel deserto del Negev. Diciotto stati hanno inviato propri rappresentanti alla celebrazione, compresi gli USA con Joe Biden e l’Italia, con il viceministro degli Esteri, Marta Dassù.
«È andato quando ha deciso lui» ha commentato il figlio di Sharon, Gilad.
Silvia Dal Maso
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