Addio a Vincenzo La Scola

Creato il 17 aprile 2011 da Nenet

Sembra un finale d’opera, di quelli tragici nei quali muore il tenore, ma purtroppo, questo, non è finto: Vincenzo La Scola, 53 anni, cantante palermitano e beniamino del pubblico, è morto ieri stroncato da un infarto. Il tenore si trovava in Turchia per una masterclass. Appena saputa la notizia il Teatro Massimo s’è fermato per un minuto di silenzio, interrompendo la prova di “Greek passion”: una prova alla quale avrebbe dovuto partecipare anche la moglie di La Scola, Maria Randazzo, corista del Teatro. A luglio La Scola avrebbe dovuto fare un omaggio a Frank Sinatra, allo Spasimo per il Brass, seguito naturale del disco dedicato a The Voice che stava incidendo.

Il ricordo più forte del palermitano La Scola nel teatro della sua città è quello che, nel 2002, lo vide andare in scena al Massimo, per “I racconti d’Hoffmann” di Offenbach, nonostante sua madre fosse morta quello stesso giorno. Un atto d’amore verso la sua città e il suo teatro. La Scola era stato Cavaradossi, Rodolfo, Manrico, il duca di Mantova: aveva incarnato, insomma, tutti i grandi personaggi della lirica, dando vita ai loro amori, ai loro intrighi, ai loro inganni con voce possente.

Il primo ruolo interpretato è quello di Ernesto nel “Don Pasquale” di Donizetti: è il 1983 e quel ragazzone palermitano debutta a Parma. Due anni dopo inizia la sua carriera internazionale a Bruxelles, ancora con Donizetti, nel ruolo di Nemorino per “Elisir d’amore”.

È il 1988 quando Vincenzo, appena trentenne, debutta nel tempio della lirica, alla Scala di Milano, sempre con “Elisir d’amore”. Da quel momento La Scola sale sul tetto del mondo: incide “Rigoletto” per la Emy diretto da Riccardo Muti, partecipa alle tournée della Scala, sempre diretto da Muti, in Giappone e in Russia, lo chiama Menotti per il Festival dei due mondi di Spoleto per una “Messa di requiem” di Verdi, Zubin Mehta lo dirige al Maggio fiorentino per “Lucia di Lammermoor”, spettacolo col quale va al festival di Salisburgo, Claudio Abbado lo chiama per la produzione di “Simon Boccanegra”.

La Scola diventa un divo del Metropolitan di New York, dove debutta nel 1993 con “La Bohème”, ed è popolarissimo in Giappone, dove si esibirà più volte: lì nel 2003 il maestro Chung lo invita ai concerti di Natale. C’è spazio anche per interpretare il commissario di bordo nell’opera di Marco Betta tratta da un racconto di Andrea Camilleri, “Il fantasma della cabina”.

E a Palermo? Quando il teatro Massimo sta per riportare la lirica sul suo palcoscenico, dopo ventitré anni di odissea, il sindaco Leoluca Orlando pensa a lui per sostituire Pavarotti, costretto a dare forfait per “Aida”. Sono giorni convulsi, la città vive il ritorno della lirica come una festa. Vincenzo si dice disponibile ma dice anche che non è pronto per un ruolo che non sente suo. In pratica accetta di affrontare un’eventuale emergenza, lui che è un prim’attore: il ruolo va a Josè Cura, lui seguirà da lontano l’inaugurazione del Massimo e dirà poi di essersi commosso.

L’appuntamento con Palermo è solo rinviato: al teatro di Verdura rende omaggio al tenore e attore Mario Lanza, al Massimo farà “Faust” di Gounod, “Un ballo in maschera” di Verdi, “Werther” di Massenet e soprattutto, i già citati “Contes d’Hoffmann”, regia di Jerome Savary, ovvero la prova d’eroismo nel giorno del grave lutto. Scrisse in quell’occasione su “Repubblica” Piero Violante: “Vincenzo La Scola, chiamato ad una prova difficile nel giorno di un lutto gravissimo, ha fatto valere tutte le ragioni di un alto professionismo oltre che l’incanto del suo timbro vocale”.

“Vincenzo diede prova di grande serietà e professionalità – ricorda Francesco Giambrone, all’epoca sovrintendente del Massimo – Con Marco Betta, che era direttore artistico, ci interrogammo a lungo se sostituirlo o meno: ma quando parlammo con lui il problema non si pose, lui voleva cantare. E cantò benissimo. Il pubblico, informato della situazione particolare prima dell’apertura del sipario, gli tributò un’ovazione. A Palermo del resto era un beniamino. È stato uno dei grandi talenti di questa città”.

Resta senza parole il soprano Desirée Rancatore, palermitana e star della lirica anche lei, che quella sera divise il palco con La Scola: “Vincenzo era un guerriero – racconta commossa la cantante che oggi dedicherà la sua esibizione all’amico e collega – Disse che voleva andare in scena perché sua madre avrebbe voluto così”.

Passa qualche anno e l’idillio col Massimo finisce. C’è da sostituire il tenore di “Tosca” e i nuovi dirigenti chiamano Josè Cura, ancora lui. La Scola la prende malissimo: quello di Cavaradossi era il “suo” ruolo, dice che per il Massimo avrebbe cantato anche gratis. È una ferita che non si rimarginerà più: La Scola tornerà al Massimo solo da spettatore e non perderà occasione per polemizzare con il nuovo corso del Teatro.

Restano le testimonianze d’affetto, come quella dell’organista Vito Gaiezza: “Una voce squisita, bella, chiara, una voce donizettiana. Era questo il suo registro”.

Ignazio Garsia, presidente del Brass Group, racconta del progetto su Frank Sinatra che avrebbe dovuto vedere la luce il 2 luglio. “Voleva fare una versione soft delle canzoni di Sinatra, non tenorile. Mi fece ascoltare alcuni brani che stava registrando: uno splendore”.

L’ultimo impegno di La Scola, ormai lontano dalle scene, è stato l’insegnamento per l’Accademia Conca d’oro: qualche mese fa un’apparizione a Terrasini come testimonial del Festival Conca d’oro. “L’ora è fuggita”, canta Cavaradossi in punto di morte. E proprio come in “Tosca” il tenore non si alza più.

Mario Di Caro – La Repubblica – Palermo

Giuseppe Verdi – “Aida” Celeste Aida – Vincenzo La Scola

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