“Sotto ogni cosa è in agguato l’ombra”
Ci ha lasciato Andrè Brink, geniale autore sudafricano. Morto ottantenne di ritorno da un volo in Belgio, per il conseguimento dell’ennesima laurea Honoris Causa.
Impegnato civilmente nei confronti del brutale apartheid che ha incendiato il suo Paese, tradotto in tutto il mondo, amante della sua terra.
Ci piace ricordarlo con uno splendido volume (purtroppo fuori catalogo) edito da Instar, sotto l’attenta regia di Gianni Borgo, un grande del settore. Libri fatti a regola d’arte, indimenticabili anche per l’aspetto grafico, un grande esempio.
La prima vita di Amastor – o dell’origine del Capo delle Tempeste, Instar libri, 1994
“C’era e non c’era una volta”: così comincia la storia di Adamastor, Gigante orrifico e deforme che, per aver sorpreso la candida Ninfa Teti al bagno, fu da Zeus inchiodato per sempre alla frastagliata Penisola del Capo. Questa almeno la versione che noi occidentali siamo soliti tramandare da quando i greci cominciarono a imporre e sovrapporre i loro miti alle lontane terre esotiche. Perché non provare, per una volta soltanto, a mettere da parte le nostre consolanti tradizioni, e affidarci invece alla memoria di chi quelle vicende ha subìto sulla propria pelle e in quei luoghi ha abitato fin dal “tempo prima del tempo”?
E’ quanto André Brink (nato nello Stato Libero d’Orange nel 1935 e dunque d’origine boera, ma da sempre vigile testimone della coscienza nera sudafricana) si è riproposto in questo apologo precoloniale, dove a raccontarci del primo sbarco degli stranieri sul suolo inviolato è T’kama, capotribù degli ottentotti e contemporaneo di Vasco da Gama. A lui, uomo di nobile stirpe e di antica esperienza, tocca non solo lo shock culturale del primo avvistamento di una flotta portoghese, ma anche e soprattutto la specialissima sorpresa dell’incontro con la prima donna bianca: “era più che desiderio. Un bisogno di stare con lei, per sempre, per i giorni e gli anni della calura estiva e del freddo invernale, la terra dure, il fuggifuggi delle mandrie di ‘springbokke’, la polvere, l’argilla, la malattia e la sofferenza e la nascita dei figli, le danze lunari e il ronzio monotono della ‘gorah’, le pianure, le montagne, i cespugli, il giorno e la notte, la vita e la morte.”
Ne segue un’inedita quanto impossibile storia d’amore, ardente e selvaggia come la terra africana che le fa da sfondo; tenera e ingenua come la fantasia di chi al primo apparire delle navi le scambia per enormi uccelli marini; comica e disinibita come ancora sa essere chi vive in comunione animistica con la natura; ma infine tragica e violenta, come fu la colonizziazione del continente.
trad di Pietro Deandrea.