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Addio Luciano Sossai, amico del Vietnam

Creato il 02 agosto 2014 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

Forse non a tutti è nota la vicenda di Luciano Sossai, storico portuale genovese e diri­gente della Com­pagnia Unica, nonché presidente del circolo portuale “Luigi Rum”, venuto a mancare lo scorso 26 luglio 2014 all’età di 81 anni.

Sossai Giap Addio Luciano Sossai, amico del Vietnam

Soprannominato “o Picin”, Luciano Sossai era nato a Genova il 20 dicembre 1932 dal padre Carlo, originario di un paesino in provincia di Belluno chiamato proprio Sossai, e dalla madre Annunziata Puggioni, di origine sarde. Nella sua famiglia, di umile estrazione e di solide idee antifasciste, oltre a un nonno anarchico e a una decina di zii, c’erano anche due sorelle: la maggiore aveva sei anni più di Luciano e si chiamava Giuseppina, ma era conosciuta come Lellia; Rita invece ne aveva due in meno.

Per chi volesse approfondire le travagliate avventure della giovinezza di Luciano Sossai – dapprima garzone presso un farinotto, poi presso un fabbro e in qualità di fattorino alla Olivetti, per giungere a fare il “raccogliticcio” di nerofumo presso il porto di Genova, prima di essere ammesso come “socio” a tutti gli effetti della Compagnia Unica dei Lavoratori Merci Varie dei camalli di Genova –rimando alle testimonianze raccolte da Elena Tramelli in “Nero Fumo. Storie di Camalli” (Sagep, Genova 2013).

Qui invece vorrei rammentare l’episodio che forse più di tutti ha segnato la vita di Sossai, ossia quello della “nave dell’amicizia” che nel 1973 salpò da Genova carica di aiuti per la popolazione del Vietnam, stremata dall’aggressione statunitense.

Anche grazie al Comitato Italia-Vietnam, fondato a Genova tre anni prima da Sossai con altri compagni portuali, la popolazione genovese era particolarmente informata sui fatti drammatici che stava vivendo l’Indocina; tant’è vero che, nella primavera del 1972, Genova aveva contribuito con l’invio di otto milioni di teli impermeabili, vestiti di lana e flaconi di sangue per un aereo partito da Roma e diretto verso l’Oriente. Già mobilitatasi nella notte del Natale del 1971, Genova si riversò nuovamente in piazza a seguito del bombardamento delle dighe di Hanoi nell’autunno 1972 con migliaia e migliaia di manifestanti. I lavoratori del porto compresero che avrebbero potuto fare molto di più e, con una grande opera di sensibilizzazione anche nelle altre regioni italiane, soprattutto a Cavriago, in Emilia-Romagna, iniziarono ad organizzare un enorme carico di aiuti: biciclette, motoveicoli, indumenti, medicinali e apparecchiature sanitarie, autoambulanze, macchine tessili e agricole, reti da pesca, materiale didattico, tubi di ghisa, trattori, prefabbricati e una fornace per produrre mattoni, oltre ai disegni dei bambini delle scuole elementari, per un totale di 3.000 tonnellate di soccorsi raccolti. Vi contribuirono comunisti e socialisti, ma anche democristiani e cattolici, compresi alcuni preti molto attivi nel sociale. Nel frattempo si organizzava un boicottaggio di dieci giorni nei confronti delle navi americane che tentavano di attraccare in porto.

Per la spedizione in Vietnam fu la Cooperativa Garibaldi – che già negli anni ‘20 aveva messo a disposizione la nave “Amilcare Cipriani” per aiutare la popolazione dell’Unione Sovietica a seguito di una carestia – a fornire una vecchia e malconcia carretta del mare, nome di battesimo “Australe”, che i portuali riuscirono in breve tempo a rimettere in sesto. Il 17 novembre 1973, alle ore 19, sulle note dell’inno dell’Internazionale e tra una folla di gente, salpò dal Ponte Andrea Doria di Genova la “nave dell’amicizia”, che però a causa di alcuni imprevisti riuscì a prendere il largo solo alle ore 10.40 del giorno successivo; direzione Hai Phong, porto settentrionale del Vietnam.

Luciano Sossai era lì sopra. Lasciando a casa la moglie e un figlio, “o Picin” rappresentava il Comitato in quel viaggio lungo tredicimila miglia. In assenza di ufficiale di coperta, di un marinaio e di un operaio di macchina, Sossai decise di entrare a far parte dell’equipaggio per aiutare il comandante della nave, Giulio Cesare Calamanni; per 53 giorni gli spettò il turno del timone, al mattino. Nel mentre, nacque il “Comitato Vietnam di bordo” che, con una sottoscrizione di 250.000 lire, volle contribuire all’acquisto di chinino per i bambini vietnamiti.

Circumnavigato il continente africano, l’Australe fece scalo in Tanzania per rifornirsi di viveri, di acqua potabile e di carburante; la lussureggiante baia di Hai Phong fu raggiunta il mattino del 9 gennaio 1974. In mare e nelle campagne, migliaia di bombe e mine inesplose per evitare che le navi potessero attraccare; la vista del porto della città, tra edifici rasi al suolo e navi rovesciate, impressionò molto l’equipaggio. Nessuno era sulla banchina ad accoglierli, nonostante l’imbarcazione fosse vestita nel migliore dei modi. Ormeggiata la nave, solo dopo alcune ore furono raggiunti da una delegazione formata dal sindaco e da alcune ragazze in costume con i fiori. Ovunque, in porto e nelle risaie, erano le donne vietnamite a lavorare, instancabili con i loro cappelli a cono sulla testa.

Da quell’impresa in poi, la storica amicizia tra i camalli genovesi e il Vietnam continua ancora oggi. Luciano Sossai rimase legatissimo a questa nazione – anche dopo l’eroica liberazione e l’unificazione nazionale – ricevette la cittadinanza onoraria del comune di Hai Phong, stabilì numerosi contatti e divenne amico personale del generale Võ Nguyên Giáp – che ricordava come «uno stratega eccezionale» ma pure «capace di commuoversi» – la cui parabola di vita avevamo percorso anche sulla nostra testata. Proprio per quell’articolo mi fu fatto dono da un rappresentante dell’Associazione Italia/Vietnam del libro “Rotta: 17° Parallelo” (Erga Edizioni, Genova 2008) che ripercorre le vicende della “nave dell’amicizia”, raccontate da Sossai assieme alla giornalista del Secolo XIX Donata Bonometti, con due testimonianze di Pietro Tarallo e di Giorgio Richetti.

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Nel 2013 arrivò un importante riconoscimento per Sossai: il 21 gennaio fu invitato a Roma, assieme alla moglie Mina, in occasione della cena or­ganizzata al Quirinale per la delegazione del segretario del Partito Comunista Vietnamita, Nguyen Phu Trong, ricevuta a Roma sia dal papa Benedetto XVI, sia dal presidente della Repubblica Napolitano, che ha ricordato l’impresa dell’Australe nel suo discorso di saluto. Inoltre, nel novembre del medesimo anno, quarantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche Italia/Vietnam – si vuole appunto sancirne l’inizio con quell’avventura del 1973 – è stato organizzato a Genova un calendario di manifestazioni per le “giornate vietnamite” di gemellaggio con il porto di Hai Phong.

O Picin” ci ha lasciato; gli hanno dato l’ultimo saluto i compagni camalli della Compagnia Unica con una cerimonia laica presso la Sala Chiamata al porto.

A lui premeva però tramandarci un insegnamento che apprese dal Segretario del Partito dei Lavoratori in una delle assemblee cui partecipò. Sossai, dopo tutto ciò che aveva visto in Vietnam, si era lasciato trasportare dall’emotività, giungendo ad affibbiare l’attributo di “nazisti” agli americani. Fu però prontamente rimproverato dal compagno Segretario vietnamita, che precisò come non fosse corretto incolpare tutti gli americani, quando le responsabilità della guerra andavano invece addossate al governo statunitense e al suo esercito al servizio del capitalismo. «Non è il popolo che è cattivo, ma il serpe del capitalismo che strumentalizza ogni cosa per il suo unico scopo: l’imperialismo», fu la lezione imparata da Sossai, che da quel momento capì quanto fosse sbagliato generalizzare «senza vedere la vera natura del male» e scoprì la profondità del pensiero dei vietnamiti.

Per citare quindi il vecchio camallo “o Picin”: «nonostante la guerra che distruggeva le loro case e uccideva i loro cari, essi riuscivano a mantenersi lucidi, non riempiendosi il cervello di odio ingiustificato verso coloro che, strumentalizzati, compivano queste barbarie. Ancora oggi, a distanza di tempo, i vietnamiti hanno dimostrato la loro forza e la loro bontà, con i fatti che danno loro ragione quando sostengono che la miglior vendetta è il perdono. E loro hanno perdonato!».




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