Ma com’erano gli anni Ottanta, gli anni di Mennea? A quelli che non erano ancora nati o troppo piccoli per ricordare, voglio dire che erano all’insegna della creatività, della voglia di vincere e vivere con la fronte alta, della tecnologia che ti cambia la vita (apparvero i primi home e personal computer) e del radicale cambiamento geopolitico (nel 1989 cadde il muro di Berlino). Erano gli anni dell’edonismo reaganiano e della Thatcher ma anche del craxismo e sebbene questa etichetta oggi puzzi di infamia, ricordo che il denaro circolava a fiumi, l’iniziativa veniva premiata, l’immagine del nostro Paese nel mondo era forte e rispettata. Andavamo fieri di essere italiani. Italians do it better, si diceva. Erano tante le cose che facevamo meglio e i meriti politici, sociali, culturali ed economici di allora sono immensi se rapportati ai demeriti di oggi. Basti pensare che la Fiat era la più importante casa automobilistica europea insieme alla Volkswagen, che avevamo ancora una grande industria e che il nostro debito pubblico era modesto. Ma già nel 1985, per una sorta di premonizione, cantavamo “l’estate sta finendo”. Come Icaro, per eccesso di ebbrezza, di lì a pochi anni ci saremmo avvicinati troppo al sole e le ali di cera si sarebbero sciolte. Pur tuttavia, di quel periodo non dimenticherò mai l’entusiasmo e il sorriso sulle labbra della gente. Sono scomparsi entrambi, sostituiti dalla rassegnazione, dalla rabbia, dal ghigno triste di chi ha paura di perdere quel poco che gli resta e che lo Stato e l’Agenzia delle Entrate cercano di rubare. Nell’ora della sua scomparsa, vedo in Pietro Menna l’espressione più sorprendente di un decennio che ha il sapore delle imprese garibaldine. E mentre rivedo il filmato della sua incredibile e vittoriosa rimonta sul britannico Wells nella finale dei 200 m. delle Olimpiadi di Mosca, mi prende un groppo alla gola. Che nostalgia di quell’Italia volitiva immortalata nell’urlo liberatorio di Tardelli ai mondiali di Spagna o nelle braccia alzate al cielo di Saronni a Goodwood! Per tacere dei tanti successi in campo sociale, culturale ed economico. Addio Pietro, eroe buono e testardo di un’Italia che sapeva gettare il cuore oltre l’ostacolo! Anzi, arrivederci.
Ma com’erano gli anni Ottanta, gli anni di Mennea? A quelli che non erano ancora nati o troppo piccoli per ricordare, voglio dire che erano all’insegna della creatività, della voglia di vincere e vivere con la fronte alta, della tecnologia che ti cambia la vita (apparvero i primi home e personal computer) e del radicale cambiamento geopolitico (nel 1989 cadde il muro di Berlino). Erano gli anni dell’edonismo reaganiano e della Thatcher ma anche del craxismo e sebbene questa etichetta oggi puzzi di infamia, ricordo che il denaro circolava a fiumi, l’iniziativa veniva premiata, l’immagine del nostro Paese nel mondo era forte e rispettata. Andavamo fieri di essere italiani. Italians do it better, si diceva. Erano tante le cose che facevamo meglio e i meriti politici, sociali, culturali ed economici di allora sono immensi se rapportati ai demeriti di oggi. Basti pensare che la Fiat era la più importante casa automobilistica europea insieme alla Volkswagen, che avevamo ancora una grande industria e che il nostro debito pubblico era modesto. Ma già nel 1985, per una sorta di premonizione, cantavamo “l’estate sta finendo”. Come Icaro, per eccesso di ebbrezza, di lì a pochi anni ci saremmo avvicinati troppo al sole e le ali di cera si sarebbero sciolte. Pur tuttavia, di quel periodo non dimenticherò mai l’entusiasmo e il sorriso sulle labbra della gente. Sono scomparsi entrambi, sostituiti dalla rassegnazione, dalla rabbia, dal ghigno triste di chi ha paura di perdere quel poco che gli resta e che lo Stato e l’Agenzia delle Entrate cercano di rubare. Nell’ora della sua scomparsa, vedo in Pietro Menna l’espressione più sorprendente di un decennio che ha il sapore delle imprese garibaldine. E mentre rivedo il filmato della sua incredibile e vittoriosa rimonta sul britannico Wells nella finale dei 200 m. delle Olimpiadi di Mosca, mi prende un groppo alla gola. Che nostalgia di quell’Italia volitiva immortalata nell’urlo liberatorio di Tardelli ai mondiali di Spagna o nelle braccia alzate al cielo di Saronni a Goodwood! Per tacere dei tanti successi in campo sociale, culturale ed economico. Addio Pietro, eroe buono e testardo di un’Italia che sapeva gettare il cuore oltre l’ostacolo! Anzi, arrivederci.
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