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Dopo “19”, l’album d’esordio fatto uscire a 19 anni, l’Adele oggi 21enne torna con un secondo disco che si chiama… esatto: “21”. Il prossimo disco vediamo di trovargli un titolo più originale, ok? Anche perché tra qualche annetto potresti non sbandierare così fieramente la tua età...
A un primo impatto il nuovo album rivela una minore varietà sonora rispetto all’esordio, però attenzione. Mai fermarsi alle prime apparenze. Il grande merito del disco è infatti quello di crescere in maniera esponenziale e inarrestabile, con la voce di Adele capace di raggiungere picchi d’intensità pazzeschi. Ci troviamo davanti a un lavoro musicalmente certo non rivoluzionario ma di classe sopraffina, composto da una serie di ballate soul notevoli e per alcune di loro con l’andare degli ascolti sta già scattando l’innamoramento come in passato era successo con pezzacci come “Chasing pavements” o “Cold Shoulder”.
L’impressione è che il colpo di fulmine totale possa arrivare da un momento all’altro, con qualunque dei piccoli gioielli incastonati dentro all’album: magari per una “Turning Tables” con quel suo giro di piano drammatico che ricorda la magnifica “Colorblind” dei Counting Crows, o il rotolante e profondo singolo “Rolling in the deep”, un pezzo fuori da ogni tempo che a sorpresa ora come ora staziona al primo posto della classifica italiana. Oppure per “Rumor has it”, una song che entra martellante in testa quasi come un’idea impiantata da Leonardo Di Caprio in Inception. O forse per una “Set fire to the rain”, pronta a diventare un classico del futuro.
Alla fine resta il dubbio: un coraggio musicale maggiore avrebbe giovato al risultato complessivo o forse avrebbe appesantito i 21 grammi della soul di questo disco? In ogni caso, con il passare degli ascolti questo è un album in grado di regalare emozioni e brividi, come con una “Don’t you remember” da lacrime agli occhi. Roba da talent show, ma solo nel senso che Adele è uno spettacolo di talento.(voto 7/8)
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