Daniela Barisone
Daniela Barisone, classe 1986, conosciuta nel web come Queenseptienna. È grafica, editor e correttrice di bozze.
Collabora con Dreamspinner Press. Gestisce il sito letterario Scrittevolmente.com e adora steampunk, fantascienza e distopie, oltre ai vampiri idioti. Collabora con altri blog, come Sognando Leggendo, House of Books e Hey Kiddo! (dedicato ai bambini).
Redattrice presso ST-Books, marchio editoriale nato con GDS e Scrittevolmente.
Autrice di Lite Editions e curatrice per essa di diversi progetti editoriali quali Fantaerotika, GialloNero e Il velo di Holmes.
Per la Mela Avvelenata produce il 90% delle cover.
Ha un blog: http://queenseptienna.livejournal.co
Titolo: Adiaphora
Autore: Daniela Barisone
Edito da: La Mela Avvelenata Book Press (Collana: Free, Horror)
Prezzo: Ebook Gratuito
Genere: Horror
Pagine: 18 p.
Voto:
Trama: Il termine adiaphora (dal greco ἀδιάφορα, “cose indifferenti”) era un concetto usato dalla filosofia stoica per indicare cose che sono al di fuori dalla legge morale, cioè azioni che non sono né moralmente prescritte né moralmente proibite.
Recensione
di Cerridwen
Avrebbe voluto spiegarle quanto
la perfezione fosse qualcosa di davvero poco umano
Non è facile scrivere un racconto con la ferma intenzione di suscitare in chi legge uno sconvolgimento dei sensi tale da provocare dei brividi lungo la schiena; e scrivere un racconto horror, a mio parere, significa principalmente questo. All’inizio sono rimasta spiazzata dalla laconica ma intrigante sinossi di Adiaphora ma, procedendo con la lettura, mi sono resa conto che sarebbe stato un crimine rivelare anche solo un tassello della trama di questo racconto. È una trama suggestiva, ricca e che va assaporata parola dopo parola. Per chi non è del tutto estraneo a questo genere narrativo, inoltre, non sarà difficile individuare persino un riferimento a H.P. Lovecraft.
Daniela Barisone parte dalla più ovvia delle ambientazioni horror, quella di un ospedale psichiatrico, per poi virare bruscamente e accompagnare il lettore attraverso una storia che non ha nulla di banale e niente di prevedibile.
In questo breve racconto dall’atmosfera cupa e quasi onirica le apparenze, infatti, ingannano più che mai e il confine fra ciò che è giusto e ciò che non lo è sbiadisce fino a formare una sottile linea di cenere che il vento fa presto a spazzare via. La filosofia stoica indentificava con il termine Adiaphora quella categoria di oggetti della vita umana che, a causa della loro natura particolare, non potevano essere assegnati né al bene né al male. Fra questi è sicuramente la realtà l’oggetto più ambiguo e meno etichettabile di tutti e proprio attorno ad essa e alle sue diverse sfaccettature ruota la trama del racconto. La realtà di Adiaphora è mutevole, ingannatrice e ricca di illusioni. La realtà di Adiaphora è popolata di uomini e mostri, ma risulta quasi impossibile distinguere gli uni dagli altri.
La protagonista, Michelle, è una vittima e lo è infinite volte. È vittima di un’affilatissima crudeltà umana, è vittima di un oscuro e intangibile potere ma, soprattutto, è vittima di se stessa e della sua follia. Michelle è fisicamente prigioniera nel manicomio in cui il suo tutore l’ha rinchiusa e, psicologicamente, lo è anche di un intimo inferno fatto di vuoti, ombre e maschere bianche. Maschere bianche e anonime, come quelle che la giovane indossa per nascondere i segni di un’imperfezione che non è soltanto fisica. L’imperfezione da cui è tormentata Michelle non riguarda i lineamenti del viso ma quelli dell’anima, un’anima ormai in pezzi perché manipolata e sfruttata senza pietà.
La realtà della follia o, ancora meglio, la follia della realtà emerge da questo racconto con forza dirompente, viva, grazie anche ad uno stile di scrittura allo stesso tempo semplice e incisivo.
Adiaphora trasmette un’inquietante ma potente sensazione di disagio, suggerendo con voce carezzevole all’orecchio del lettore che, a volte, non c’è nessuna luce cui potersi aggrappare per uscire dalle tenebre e quello che all’inizio poteva sembrare un debole bagliore non è altro che il riflesso di un’illusione infranta.