Giulio Questi la scorsa settimana al Torino Film Festival (foto dal sito del TFF)
È morto ieri, a 90 anni, Giulio Questi, grande outsider – e per lui quest’abusata parola ha un senso – del nostro cinema. Collaborazioni molteplici da sceneggiatore e aiuto-regista. Partecipazioni varie come attore (per dire: a La dolce vita e Signore e signori, due monumenti). Tre soli lungometraggi come regista, ma leggendari. Il western Se sei vivo spara, il thriller macabro-grottesco La morte ha fatto l’uovo (con la Lollobrigida nel ruolo meno mainstream della sua carriera) e il fantasociologico-politico, e molte altre cose, Arcana. Poi l’invisibilità o quasi, l’ombra, e il ritorno in anni recenti alla macchina da presa con dei corti girati in casa al minimo dei mezzi e al massimo della libertà. La scorsa settimana era al Torino Film Festival in occasione della retrospettiva – lunghi e corti – che gli era stata dedicata. L’ho visto alla proiezione di Arcana, dove senza il minimo sussiego e con estrema nonchalance, ha parlato del film, e di tutta la sua opera. Lucido e, m’è sembrato, fisicamente non così provato. A vederlo, niente lasciava presagire quello che è successo ieri. Il direttore del TFF Emanuela Martini l’ha ricordato con parole belle e per niente di circostanza sul sito del festival (eccole). Io mi limito a ripubblicare quanto ho scritto di lui e di Arcana subito dopo aver visto il film.
Arcana di Giulio Questi. Sceneggiatura di Giulio Questi e Kim Arcalli. Con Lucia Bosè, Maurizio Degli Esposti, Tina Aumont. Italia 1972. Presentato al TFF32 nella sezione After Hours/Giulio Questi.
Alla gremitissima proiezione al cinema Massimo era presente Giulio Questi, 90 anni, uno dei grandi eccentrici del nostro cinema tra Sessanta e Settanta. Solo tre film, Se sei vivo spara, La morte ha fatto l’uovo e Arcana, che sono però bastati a issarlo tra gli autori di culto. Un vero dandy, Questi, che parla con somma sprezzatura e distacco della sua vita professionale, della sua produzione cinematografica. “Il mio è cinema di genere, girare capolavori non è mai stato il mio obiettivo”, ha detto. Il che lo rende ancora più grande, oltre che infinitamente simpatico. In attesa di leggere il libro che gli è appena stati dedicato e raccoglie le memorie di una vita di molti successi e altrettanti clamorosi tonfi e stop, Se non ricordo male (a cura di Domenico Monetti e Luca Pallanchi, edizione Rubettino), mi sono rivisto qui al Torino Film Festival il suo Arcana, anno 1972, film maudit e dunque leggendario, circolato pochissimo allora e subito ingoiato da un buco nero. Scritto da Questi con Kim Arcalli, e oggetto cinematografico indefinibile. Cinema sociologico, etnografico, politico. Ma ingabbiato nei modi del genere horror-fantastico. Con anarchismi, follie, surrealtà tra Buñuel (l’ultima parte deve moltissimo a L’angelo sterminatore) e Marco Ferreri. Anche, con quel che di laido, sordido, morboso, malato, perverso così anni Settanta. Qualcosa che oggi non sarebbe non solo irrealizzabile, ma nemmeno pensabile. Una donna venuta a Milano dal Sud, rimasta presto vedova del marito tranciato da un convoglio della metropolitana, e con un figlio a carico, per tirar su un p0′ di soldi si mette a fare la maga-fattucchiera-chiromante-tarocchista attingendo alle pratiche magiche del suo mondo di origine. E anche dietro a questo film, come nel caso di Il demonio di Brunello Rondi, si intravedono le ricerche etnografiche di Ernesto De Martino sugli arcaismi del meridione profondissimo. Il nuovo lavoro rende subito bene, grazie anche alla partecipazione-complicità del figlio, il quale mostra di avere poteri che neanche la madre. Siamo, in pieno mood ’70, in un rapporto paraincestuoso con fremiti erotici del figlio per mamma e di mamma per il figliolo, con ambiguità disseminate lungo tutto il film. Ma un’altra donna, una cliente, scompiglierà l’equilibrio. Scene pazzesche, come l’esorcismo della tarantata laggiù nel Sud, come gli amuleti che il figlio pazzo dissemina per tutta Milano, e sembrano installazioni d’arte avanguardistica. Non sempre il tessuto drammaturgico tiene, le incongruenze sono tante e vistose, ma la potenza della messinscena e lo sguardo autenticamente sadiano di Questi travolgono ancora oggi. La famiglia protagonista si chiama Tarantino, e se non è premonizione questa (Quentin peraltro si è dichiarato ammirarore di Questi), e la scelta del nome da parte dei due autori allude probabilmente al fenomeno del tarantismo studiato da De Martino. Lucia Bosé quale madre-strega è di una bellezza e di una sensualità come neanche la Loren è mai riuscita a essere, il figlio è Maurizio Degli Esposti. E c’è Tina Aumont. Se vi capita, correte (ma come potrà capitare questo film di cui non esiste dvd, e la cui unica copia è probabilmente quella proiettata qui a Torino?).