Adieu, ma chérie

Creato il 04 luglio 2014 da Scribacchina

Tanto si sapeva che doveva succedere.
La mia automobilina – sì, quella che l’altra notte sfrecciava tra le buie strade del bresciano – è morta.
… Beh, morta non proprio. Diciamo che ha già ricevuto l’estrema unzione ed aspetta fiduciosa di essere infilata in una bara.

Così, da un momento all’altro, mi sono ritrovata nella necessità di cercare una nuova macchina. Io, che non so nemmeno com’è fatto un motore; che non m’interessa nemmeno com’è fatto un motore. Che do valore ad un’auto solo se ha una radio decente, meglio se accessoriata di presa USB. E la mia, per quanto catorcio inside (ma anche outside…), ce l’aveva.

Oggi pomeriggio dunque, con tutta la buona volontà di questa terra, mi sono fatta traghettare dal signor Trenitalia fino al paesello, e da lì è iniziato il mio viaggio. Un vero e proprio cammino di Santiago: chilometri di strada macinati a piedi sotto il sole rovente, in uno scenario tra natura e apocalisse, con campi di grano dorati che si alternavano a inguardabili capannoni. In testa una sola cosa: la mappa dei concessionari della zona.

Nel giro di qualche ora ho scoperto diverse cose interessanti:
- la fantasia dei battezzatori di automobili è infinita: ho sentito nomi di auto talmente ridicoli da dover girare la testa per nascondere le risate; per non far capire che vengo da un altro mondo, dove le macchine sono quelle solite 3-4 (Twingo, Panda, Yaris e 500, stop);
- il colore più glamour per le auto è, attualmente, il bianco; sissignori, il bianco piatto e non metallizzato, quello stesso colore che fino a una decina d’anni fa era praticamente inesistente tra le auto del volgo. Oggi, fateci caso, circolano tante di quelle auto di colore bianco da lasciare sbigottiti. Non per niente tutte le auto in pronta consegna che mi sono state proposte sono bianche;
- per essere sicuri che il finanziamento verrà accettato e che tu, acquirente, pagherai fino all’ultima rata, non basta più l’ultima busta paga: ora viene richiesta anche l’ultima bolletta del telefono (“è solo per sicurezza, una formalità”: ?!?!?!?).

Ho anche scoperto che il signore che tanti anni fa mi aveva venduto la mia ormai ex automobilina lavora ancora nella stessa concessionaria. Quando mi ha chiesto se volevo un nuovo o un usato, prontamente ho risposto: “Per carità, niente usato. La mia prima e unica auto me l’avevano venduta come usata pochissimo e tenuta perfettamente. Alla fine dei conti, tra riparazioni, ricambi, aggiustature e sostituzioni varie, credo di averla pagata almeno dieci volte il suo valore. Una vera truffa”. Me ne sono ben guardata dal dirgli che me l’aveva venduto lui quel catorcio.

Eppure le macchine, i modelli nuovi di fabbrica intendo, si somigliano tutte. Stessi colori, forme simili, volante, sedili, cruscotto… sarà anche l’effetto del giro turistico tra concessionarie, ma se in questo momento ripenso alle macchine che ho visto non riesco a distinguerle. Sono tutte uguali, tutte.

… No, forse una cosa diversa c’è: il baule. Colmo della sciagura, il modello che mi convince di più ha un baule davvero piccolo.

Venditore: “Scusi la domanda… Non voglio farmi gli affari suoi, ma a cosa le serve un baule più grande di questo? È una fan dell’Ikea?”
Scribacchina: “Sì, ma il baule mi serve per altro: devo farci stare un amplificatore”.

Tutto sommato mi sento fortunata.
Fossi stata batterista, avrei dovuto prendere un trattore con rimorchio.


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