Magazine Diario personale

Adios 2012 (e vedi d'annartene e nun torna' più)

Creato il 14 dicembre 2012 da Pazienteautrice @PazienteAutrice
Adios 2012 (e vedi d'annartene e nun torna' più)Apprestandomi a comporre l'ennesima, straripante - ma comunque beneordinata -  valigia, che mi accompagnerà sul volo natalizio che mi accingo a compiere, ho deciso di dire addio all'odiato 2012 pubblicando un racconto che ho scritto l'anno scorso, ma che mi ha appena dato, in quest'ultimo scorcio dell'anno,  una piccola soddisfazione. Qualcosa è cambiato da allora e, per fortuna, in meglio. Scelte da farsi son state fatte, ma ancoro lungo è il cammino.
Detto ciò, chiudo la valigia e mi lascio alle spalle ogni accadimento passato, guardando all'anno che viene con nuove energie e rinnovate speranze. Buone Feste.
Di nuovo in volo. Rotta Madrid-Roma, A/R. Le icone sullo schienale del sedile mostrano come scivolare via dall’aereo in fiamme. Sembra facile, bastano appena 3 vignette. E poi le uscite d’emergenza sono dotate di segnali luminosi, sono così visibili. Inizio a pensare che sia più semplice mettersi in salvo da un guasto sull’aereo, che trovare una via d’uscita alla situazione in cui mi trovo adesso, alla mia realtà ordinaria. La quotidianeità è la mia vera emergenza.
La mia è la storia di una giovane migrante dei tempi moderni, sospesa in volo a mezz’aria. Partita da casa un paio di anni fa, e non essendo ancora riuscita a definire i contorni della mia vita professionale, come anche di quella personale, galleggio, ormai da un po’, nel limbo delle infinite scelte possibili. Il senso di smarrimento è simile a quello di un uccello migratore cha ha perso la sua rotta, o di un pilota automatico che non ricorda più per quale traiettoria era stato programmato.
L’aereo è già in pista e, per l’ennesima volta, decollo. Madrid è bella anche dall’alto, ripartita in tanti quadratini gialli, verdi e color terra bruciata. La visione dall’alto. Spesso serve allontanarsi dal dettaglio per acquistare una visione globale. Dall’aereo vedo tutto bianco, siamo entrati in un banco di nubi. Se questo è un segno del Cielo, sono rovinata.
Sono di nuovo in volo per tornare a casa, dove mi aspetta il calore degli affetti periodicamente ritrovati, dei rapporti senza spigoli, perchè la distanza li appiana tutti. La coscienza dello scarso tempo che si ha a disposizione, fara sì che in questa manciata di giorni, e in qualche scarsa decina di metri quadrati, si concentreranno emozioni ad alta intensità.
Ho sempre trovato incredibile come in uno spazio fisico tanto limitato, quale la sala “arrivi” di un aeroporto, si possa concentrare tanta tensione emotiva, quasi palpabile al tatto. Ho sempre l’impressione che, se azionassi un accendino, si infiammerebbe l’aria, come fosse una nuvola di gas. Lo status di migrante dovrebbe avermi aiutata a costruire uno schermo protettivo per difendermi da tanto concentrato di emozioni, ma non è così. Mi fa sempre uno strano effetto frequentare luoghi come i terminal aeroportuali, le stazioni ferroviarie, i moli, e tutti quei posti che vedono persone partire, o tornare, e s’impregnano di quell’aura particolare che avvolge il viaggiatore, un miscuglio di nostalgia e mestizia per ciò che ci si sta lasciando alle spalle, unito all’emozione e al brivido del nuovo a cui si va incontro. Un cocktail micidiale, assolutamente da evitare.
Inizio a pensare a cosa significasse, in passato, essere un emigrante. C’era una volta la Terra Promessa. Si emigrava all’estero in cerca di fortuna e, il più delle volte, si tornava a casa col bottino. La storia della mia zona d’origine, la Valle di Comino, è un’enciclopedia di casi esemplari, di storie di migranti che partivano con la valigia di cartone e tornavano al paese, decenni dopo, a bordo, come minimo, di una Ferrari Testarossa. La storia, ora, è cambiata. Torno a casa e di rosso ho solo il conto in banca. Guadagno appena quel che mi permette di sopravvivere, pur lavorando tutto il giorno. Il precariato è la schiavitù moderna, è sfruttamento legalizzato della prostituzione lavorativa. Laureata da 3 anni, ho cambiato 5 lavori e, paradossalmente, la mia situazione è andata peggiornando col tempo. Volendo usare un registro statistico, si potrebbe dire che la variabile X (ore lavorate) é andata crescendo di pari passo con la diminuzione della variabile Y (retribuzione percepita) e della variabile Z (soddisfazione lavorativa), il chè ha provocato una caduta a picco dell’Indice F (Felicità), prodotto di vari fattori, tra cui, per l’appunto, la realizzazione professionale come uno dei più incisivi.
Sardegna..o Corsica? Saremo, più o meno, a metà del viaggio. È strano vivere divisi a metà: tra 2 Nazioni, tra 2 lingue, tra 2 gruppi di amici. È difficile vivere a distanza, soprattutto quando non sono più tanto chiare le motivazioni, nè gli obiettivi. Adoro vivere in Spagna, ma il prezzo è comunque alto. La separazione da casa è sacrificante. Ne vale davvero la pena? Questa sarà la domanda più ricorrente nelle interminabili cene coi parenti che mi si prospettano nei prossimi giorni. E stavolta, davvero, non sono più sicura della risposta. I miei zii, novelli investigatori, mi sottoporranno a duri interrogatori sotto la luce abbacinante e molesta delle loro convinzioni di affermati professionisti, laureatisi nell’era in cui i titoli accademici godevano di un valore reale, e sulle teste dei neolaureati non pendeva ancora la spada di Damocle dei contratti a progetto e degli stage non retribuiti e senza opportunità d’inserimento.
Sono stanca di ricevere proposte di lavoro ai limiti della decenza, e di contratti al limite della legalità, di avere sempre doveri lavorativi e mai diritti, di dover mendicare le ferie, il rispetto del giorno di paga, il semplice rispetto per il mio lavoro, e quindi per me stessa. Ho lavorato persino in un call-center, ed ancora non ho totalmente superato la “sindrome del burn-out”. Sono terrorizzata dalla piega che ha preso la mia carriera, totalmente insoddisfatta, delusa e disillusa.
Probabilmente, poi, vivere all’estero mi fa percepire con maggior drammaticità il mio status di precaria, forse perchè alla instabilità economica si aggiunge quella affettiva.
D’altronde, ho l’impressione di non avere altre opzioni, e mi sento in trappola, come se fossi la protagonista di un fumetto che non è stato disegnato per me, che viene costretta dall’autore ad apparire in tutte le vignette, fino alla fine dell’episodio. Questo è lo spirito con cui, attualmente, vado al lavoro, giorno dopo giorno.
Trovare lavoro – o quanto meno un lavoro sufficientemente decoroso sotto il triplice profilo della gratificazione personale ed economica e delle condizioni contrattuali - sembra la sfida del secolo, un’impresa titanica, super-umana. Migliaia di curriculum inviati, centinaia d’iscrizioni agli annunci sui motori di ricerca, decine e decine di colloqui per lavori che si rivelano improbabili, un senso di frustrazione unico, che s’intensifica al pensiero dell’infinita quantità di tempo passata sui libri.
Tempus fugit. L’mp-3 suona ancora, e stavolta mi regala le note vibranti del sax di Stan Getz, una soundtrack perfetta per ritmare i pensieri. Non ho molto tempo, la vita scorre, e non posso continuare a crogiolarmi nell’insoddisfazione, a svegliarmi al mattino sperando che la giornata di lavoro passi al più presto, a vivere nel limbo, senza andare avanti, nè indietro.
Voglio un’uscita d’emergenza da questa situazione. Voglio capire che direzione devo dare alla mia vita, quali correnti mi aiuteranno a volare in alto. Non so se continuerò a vivere all’estero, o se tornerò in patria, ma non voglio continuare a galleggiare a mezz’aria, é tempo di spiccare il volo.


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