di Daniela Manca. Quando si è giovani non si pensa alla morte se non accidentalmente. Quando si invecchia il pensiero della morte diventa costante, come una compagna discreta ma onnipresente, che ci consiglia e spesso ci condiziona. Ma se si diventa molto molto vecchi, come me, si può ancora cambiare disposizione rispetto a questa grande, estrema esperienza.
Quando ho cessato di essere giovane mi sono stancata di avere paura della morte; quando sono diventata molto vecchia mi sono stancata di desiderare la morte, che si è rivelata un evento tutt’altro che probabile, come avevo temuto in gioventù. Ora me ne stò così: non ho timori o desideri, vivo alla giornata, mi gusto gli scampoli di vita che mi restano.
In questo anticipo di primavera, seduta a ridosso del muro, mi godo il tepore del sole. Mangio un pezzo di pane, come farebbe un bambino ancora privo di denti: sbavandolo un poco e rosicchiandolo con le gengive. Ho sempre rifiutato di farmi montare dei denti posticci, così come ho sempre rinunciato a portare gli occhiali, piccoli capricci che sono stati concessi alla mia vecchiaia così come, talvolta, si concedono ai bambini.
Me ne stò in compagnia dei miei pensieri quando sento la voce di Franceschino che chiama: “Nonna, nonna.” Per un poco lo ignoro; il tono si fa preoccupato, continua a chiamare, devo proprio rispondere.
“Ah! Sei qui allora, mi hai fatto prendere uno spavento!”
“Figurati! Dove credevi potessi essere andata?” Mi guarda imbarazzato e non risponde. “Credevi fossi morta? Ih, almeno fosse!” Scherzo io, lui però ha paura davvero, lo so.”
“E’ proprio vero nonna che non hai paura di morire?”
“Davvero! Non ne ho affatto. Cosa pensi che sia alla mia età? Anzi, ti dirò una cosa: secondo me qualche volta ci vuole più fegato ad affrontare la vita che non la morte.”
Franceschino mi guarda e pensa, non molto convinto.
Gli dico: “Per esempio, tu si che hai del coraggio a tuffarti dagli scogli, lì al mare, e andare sott’acqua. Ogni volta che ci penso mi sento male; non lo farei neanche se fosse questione di vita o di morte.”
Lui si illumina tutto: ” Ma no, nonna! Guarda che è più facile di come pensi tu, te lo spiego: vado sullo scoglio e mi preparo (perché lì un po’ di fifa si che mi viene), poi faccio un passetto in avanti, come se ci fosse un piccolo ostacolo da superare, e mi lascio cadere nel vuoto, però chiudo gli occhi fino a che non sento l’acqua fredda che mi sommerge tutto. Quello è il momento più emozionante. Quando sono sotto riapro gli occhi e posso osservare un po’ intorno, finché resisto, perché sai, sott’acqua ci sono tante cose che da fuori non puoi immaginare; quando proprio non ce la faccio più risalgo e torno fuori.”
“Ecco! Bravo francesco, è proprio così: secondo me la morte è proprio come hai descritto tu.
CIAO MAMMA, A TI CONNOSCI IN SU CIELU.
Da “Antica giovane” di Daniela Manca.
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Nota – Risvegliandomi da sogni di antiche case sarde, in un’altra bigia giornata di festa dublinese, ho trovato un’e-mail… diversa… che a ripensarci i sogni hanno sempre un senso. Un abbraccio Daniela, a da conosce in su xelu dicevano tanto tempo fa alle pendici della montagna… o qualcosa del genere… che – dato che lo hai scritto anche tu - immagino valga anche adesso. Adesso che le antiche case sarde diventano sempre più rare, si vuotano lentamente, inesorabilmente, di ogni spirito speciale che le aveva abitate. E a noi resta soltanto il ricordo. Il dolore muto. E il silenzio.
Featured image – Antiche case sarde a Sadali, autore Matteo Tuveri, source Sardegna Digital Library.