Adriatico, la corsa agli idrocarburi

Creato il 31 luglio 2013 da Luca Troiano @LucaTroianoGPM

Si scrive Adriatico,‭ ‬ma si potrebbe leggere Golfo Persico.‭ ‬La ricerca di idrocarburi nelle acque di quello un tempo era il confine marittimo della Cortina di ferro è infatti in costante crescita.‭ ‬Solo sul versante italiano‭ ‬si contano‭ ‬107‭ ‬piattaforme offshore dedicate all’estrazione di gas naturale – destinate ad aumentare grazie allo sviluppo dei giacimenti recentemente scoperti in Puglia – ‭ ‬che attualmente coprono il‭ ‬9,2%‭ ‬del fabbisogno nazionale di gas.‭ ‬Oltre ad essere un inesauribile fonte di polemiche sul tema dell’impatto ambientale.
La novità di oggi è che lo sfruttamento dei combustibili fossili racchiusi nei fondali marini non è più una prerogativa tutta italiana.‭ ‬Anche Albania,‭ ‬Croazia e Montenegro stanno avviando una serie di attività di ricerca e coltivazione dei depositi a largo delle proprie coste.‭ ‬Con possibili risvolti anche per l’Europa.
In Albania l’attività petrolifera ha una‭ ‬lunga storia:‭ ‬il bitume veniva estratto già in epoca romana.‭ ‬L’estrazione moderna è iniziata alla fine degli anni Venti durante l’occupazione italiana e ha toccato il suo apice intorno al‭ ‬1970‭ ‬con il contributo dell’ingegneria cinese,‭ ‬che consentì a Tirana di raggiungere una produzione pari a‭ ‬43.000‭ ‬b/g‭ (‬barili al giorno‭)‬.‭ ‬Pochi per diventare un produttore mondiale di rilievo,‭ ‬ma sufficienti per essere il primo limitatamente alla regione balcanica.‭ ‬Tuttavia,‭ ‬con lo strappo‭ “‬strappo di Hoxha‭” ‬del‭ ‬1978,‭ ‬l’allora dittatore al potere decretò la fine di ogni alleanza internazionale dell’Albania e ci cinesi partirono per non tornare più.‭ ‬Da allora la produzione di oro nero è costantemente scesa fino a toccare il suo minimo storico nel‭ ‬2004:‭ ‬appena‭ ‬600‭ ‬b/g.
Ora l’era petrolifera di Tirana sembra poter inaugurare un nuovo capitolo,‭ ‬come dettagliatamente illustrato da‭ ‬Balkanalisys‭ ‬già lo scorso anno.‭ ‬A partire dal‭ ‬2009‭ ‬gli investimenti privati nel settore del greggio hanno registrato una decisa impennata,‭ ‬da quando cioè sono iniziate le operazioni nel giacimento onshore di Patos Marinza,‭ ‬dove si pensa sia no custoditi più di‭ ‬7,7‭ ‬miliardi di barili.‭ ‬L’ultimo accordo di rilievo risale allo scorso‭ ‬27‭ ‬aprile,‭ ‬quando il ministero albanese dell’Economia e dell’Energia ha concluso un‭ ‬negoziato‭ ‬con la società San Leon Energy Plc.‭ ‬Investimento previsto:‭ ‬250‭ ‬milioni di dollari per i prossimi due anni.‭ ‬Tirana punta a raggiungere l’autosufficienza petrolifera entro i prossimi cinque anni,‭ ‬e c’è la possibilità che diventi esportatore netto almeno per un certo periodo. In Albania le royalties sono del‭ ‬70%‭ ‬sui pozzi già avviati‭ – ‬alcuni risalenti alla Guerra Fredda e costellati di problemi strutturali‭ – ‬mentre ammontano appena al‭ ‬10%‭ ‬sui pozzi nuovi pre-tasse,‭ ‬a cui si somma una tassa speciale del‭ ‬50%‭ ‬sui profitti.‭ ‬Buona parte del petrolio albanese finirà nelle raffinerie d’Italia.‭
Fin qui i pro.‭ ‬I contro,‭ ‬invece,‭ ‬si annidano nella corruzione e nelle precarie condizioni socioeconomiche del Paese.‭ ‬L’Albania è solo al‭ ‬69simo posto dell’indice di sviluppo umano dell‭’‬United Nations development programme.‭ ‬E l’eldorado petrolifera non ha finora contribuito a migliorare la situazione.‭ ‬Anzi,‭ ‬due anni fa ha addirittura rischiato di farla precipitare,‭ ‬è vero che è stato una delle cause principali dell’acuirsi delle tensioni tra il governo allora guidato da Sami Berisha ed opposizione capeggiata dal sindaco di Tirana Edi Rama‭ (‬vincitore delle‭ ‬elezioni dello scorso giugno‭)‬,‭ ‬poi riversatesi in‭ ‬duri scontri di piazza.‭ ‬Non dimentichiamo poi la dura coda polemica che è seguita alla‭ ‬privatizzazione‭ ‬della compagnia statale Albpetrol,‭ ‬voluta dal governo Berisha sul fiire del‭ ‬2011‭ ‬e contro cui Rama si scagliò con veemenza arrivando a definirla un‭ “‬atto antinazionale‭”‬.‭ ‬La legge di vendita era stata varata poco prima che l’Autorità di controllo concedesse alla comagnia anche una licenza di esplorazione e ricerca nei fondali marini.‭ ‬Dopo due anni di polemiche,‭ ‬accuse e strumentalizzazioni a sfondo politico,‭ ‬in febbraio il ministro dell’Economia,‭ ‬Edmond Haxhinasto,‭ ‬ha dichiarato che il processo di privatizzazione si è concluso con un sostanziale fallimento.‭
Resta infine controversa la questione dei possibili legami tra le attività in corso a Patos Marinza e lo‭ ‬sciame sismico‭ ‬che interessa le città limitrofe da circa tre anni,‭ ‬per i quali la popolazione accusa senza mezzi termini la compagnia petrolifera canadese Bankers Petroleum,‭ ‬concessionaria del giacimento.

In Croazia,‭ ‬l’avvio della ricerca è stato‭ ‬annunciato‭ ‬lo scorso‭ ‬2‭ ‬luglio,‭ ‬all’indomani dell’ingresso ufficiale come‭ ‬28esimo nell’Unione Europea.‭ ‬Dopo aver sposato entrambi i progetti‭ ‬TAP‭ ‬e‭ ‬South Stream‭ ‬per rafforzare la diversificazione delle forniture di gas,‭ ‬Zagabria punta ora ad implementare dello sfruttamento dei giacimenti ubicati a largo delle proprie coste.‭ ‬Secondo il Ministro dell’Economia,‭ ‬Ivan Vrdoljak,‭ ‬vi sarebbero circa‭ ‬20‭ ‬giacimenti in un’area di‭ ‬2000‭ ‬chilometri quadrati,‭ ‬che nei piani del governo dovrebbero garantire introiti per milioni di euro sotto forma di‭ ‬royalties‭ ‬già dal prossimo anno.
Il governo croato è ben consapevole che l’industria energetica del Paese goda di‭ ‬buone prospettive.‭ ‬In maggio,‭ ‬l’esecutivo ha proposto un ddl sugli idrocarburi che prevede una‭ ‬semplificazione delle procedure burocratiche‭ ‬necessarie per avere i permessi di ricerca e sfruttamento di‭ ‬idrocarburi‭ ‬offshore,‭ ‬nel presupposto che la vecchia legge non stimolava la ricerca di gas e petrolio.‭ ‬Ad oggi,‭ ‬infatti un investitore che potenzialmente trovi dei giacimenti non è automaticamente garantito anche il loro sfruttamento,‭ ‬ma c’è bisogno di una nuova gara.
Oltre che alla ricerca di gas lungo le coste e al suo futuro ruolo di corridoio di transito,‭ ‬la Croazia è impegnata in un altro progetto,‭ ‬destinato ad impreziosire il suo ruolo nello schacchiere energetico del Mediterraneo:‭ ‬la costruzione di un rigassificatore sull’isola di Krk‭ (‬con il‭ ‬contributo del Qatar‭)‬,‭ ‬che consentirà a Zagabria di importare sia il gas liquefatto da Doha che lo shale proveniente dagli USA da destinare poi al mercato europeo.

Infine,‭ ‬anche il Montenegro guarda con interesse ai‭ (‬possibili‭?) ‬giacimenti sottomarini.
Già in settembre il governo di Podgorica aveva indetto una gara d’appalto per lo sfruttamento del petrolio nazionale che però‭ ‬non è ancora stato scoperto,‭ ‬anche se la presenza di alcuni depositi di gas naturale lascia sperare nella analoga presenza di oro nero.‭ ‬La dimensione di ogni blocco è di circa‭ ‬300‭ ‬chilometri quadrati.‭ ‬Nella prima gara saranno pubblicati i bandi per‭ ‬13‭ ‬blocchi per una superficie totale di un massimo di‭ ‬3.000‭ ‬chilometri quadrati.
Allo stesso tempo,‭ ‬il governo ha adottato una politica fiscale per la produzione di petrolio e gas che garantisca un reddito stabile e congruo per lo Stato.‭ ‬Secondo le nuove norme,‭ ‬nelle casse pubbliche confluirà il‭ ‬70%‭ ‬degli utili di compagnie che operano in questo business.‭ ‬La compensazione per il petrolio sarà progressiva,‭ ‬dal‭ ‬5%‭ ‬al‭ ‬12%‭ ‬della produzione,‭ ‬e la tassa extra profitto sarà del‭ ‬59%.‭ ‬L’obiettivo,‭ ‬secondo il portavoce del Ministro dell’Economia,‭ ‬Vladan Dubljević,‭ ‬è quello di aspettarsi un cospicuo flusso di entrate a partire dal‭ ‬2017.
In realtà,‭ ‬non è tutto rose e fiori.
In primo luogo,‭ ‬la gara d’appalto per le esplorazioni rientra nel quadro di un piano più ampio ufficialmente volto ad attrarre capitali stranieri,‭ ‬ma che in concreto si sostanzia nella‭ ‬progressiva svendita degli asset nazionali‭ ‬per risanare l’esangue bilancio del Paese.
In secondo luogo,‭ ‬se da un lato le autorità croate si sono dette disposte a collaborare nella ricerca e nello sfruttamento delle risorse sottomarine con quelle montenegrine,‭ ‬dall’altro non sono escluse‭ ‬future tensioni tra i due vicini,‭ ‬se davvero verrà confermata l’esistenza di un grosso giacimento di oro nero al largo della penisola di Prevlaka,‭ ‬la cui delimitazione marittima è tuttora contesa con Zagabria.

Tra luci e ombre,‭ ‬il settore energetico presenta interessanti prospettive in tutti e tre i Paesi esaminati.‭ ‬Anche l’Europa sembra interessata,‭ ‬e non soltanto per i volumi di idrocarburi che l’offshore dell’Adriatico potrebbe immettere sul mercato.‭ ‬Albania,‭ ‬Croazia e‭ – ‬benché in misura inferiore‭ ‬-‭ ‬il Montenegro interessano altresì come canali di transito.‭
Già in maggio i rispettivi governi‭ ‬-‭ ‬assieme all’Italia‭ ‬-‭ ‬avevano già firmato‭ ‬un protocollo d’intesa a sostegno del Gasdotto Trans Adriatico‭ (‬TAP‭)‬,‭ ‬il progetto di diversificazione delle forniture di gas nato in concorrenza con quello sponsorrizato dall’Unione,‭ ‬il Nabucco,‭ ‬e che ha praticamente indotto Bruxelles‭ ‬a rinunciare a questo.‭ ‬Per l’Europa,‭ ‬l’accantonamento del gasdotto di verdiana denominazione rappresenta una‭ ‬sconfitta‭; ‬per i Paesi adriatici,‭ ‬invece,‭ ‬la TAP rappresenta una ghiotta opportunità di rilancio,‭ ‬a cui anche la famelica Bruxelles sembra ora strizzare l’occhio.

* Articolo originariamente comparso su The Fielder


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