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Affare rifiuti in terra di Gomorra, tra pallottole e fango.

Creato il 11 giugno 2011 da Yourpluscommunication


Affare rifiuti in terra di Gomorra, tra pallottole e fango.

Per comprendere a pieno il fenomeno dell’affare rifiuti è d’obbligo ricordare quanti, in Campania, terra denominata dai latini “felix”, hanno pagato con la vita o con l’isolamento il loro impegno. E ricordare anche persone che, come Don Peppino Diana, hanno denunciato consorzi cuccagna, politica collusa, assessori compiacenti, uomini dello Stato diventati servitori di un sistema criminale.

D’altronde chi all’interno delle istituzioni fa il suo dovere, nella terra di Gomorra viene considerato nella migliore ipotesi, un inviso; nella peggiore, una mosca bianca da schiacciare.

Aiutano a capire, poi, lo strapotere del clan dei Casalesi, alcuni dati come questi: 1.500 persone indagate, imputate o condannate per fatti di camorra; 8.000 fiancheggiatori sui quali contare per appoggi logistici, finanziamento, attività di sostegno all’organizzazione.

Si potrebbe andare avanti con somme ed operazioni ma, questi“pochi” numeri, bastano a raccontare come sia cresciuto un esercito forte e resistente alla massiccia attività investigativa e repressiva degli ultimi quindici anni. Una lotta contro il male caratterizzata da oltre mille arresti e sequestri di beni per un valore di alcuni miliardi di euro.

Un intervento su tutti, targato Direzione Investigativa Antimafia,luglio 2010, ha posto sotto sigillo beni riconducibili ai casalesi per oltre un miliardo di euro.

Per quanto riguarda il capitolo camorra- politica, la provincia di Caserta è al terzo posto tra le province d’Italia per numero di comuni sciolti per infiltrazioni mafiose preceduta solamente da Napoli e da Reggio Calabria.Ottimo primato, si fa per dire.

Affare rifiuti in terra di Gomorra, tra pallottole e fango.
Per anni, infatti, storie di ribellione della provincia e quelle dei magistrati coraggiosi come Raffaele Cantone o Raffaele Magi, capaci di condannare boss, manovalanza del cartello criminale o politici corrotti come l’ex deputato Lorenzo Diana (colpevole di essere stato valido segretario della Commissione Antimafia) sono state poco o per nulla considerate dai mass media e dalla politica.

Se oggi le stesse voci di ieri sono capaci di urlare allo scandalo, non troppo tempo fa restavano solo sussurri pure quando morivano personaggi ritenuti scomodi come don Peppino Diana, ucciso nel 1994 proprio per il suo impegno anti camorra.

E sulla disinformazione o la distorsione delle notizie la gente ci muore o crepa due volte. Nel 2009 “giù” al nord, nel corso di una trasmissione televisiva in onda su Telelombardia, l’onorevole Gaetano Pecorella, presidente della Commissione di Inchiesta sul ciclo dei rifiuti, ha ucciso per la seconda volta don Peppino Diana, dopo essere stato interpellato da una domanda alla quale rispondeva così «ma voi lo sapete chi è Don Diana? Uno che nascondeva le armi del clan»

Assassinio gelido su un corpo freddo. Una tecnica, molto a modo in questi ultimi anni, e soprattutto di moda: gettare qualche ombra su chi è stato onesto trasformando gli eroi col tempo in organici e dissacrabili.

Le accuse lanciate da Gaetano Pecorella sul conto di Don Diana,hanno provocato una dura lettera di risposta da parte di Roberto Saviano che, in un articolo denuncia, chiedeva: «oggi onorevole Pecorella, lei è presidente della commissione d’inchiesta sui rifiuti ed i Casalesi, come saprà, sono i maggiori affaristi del traffico dei rifiuti tossici e legali. Loro quindi dovrebbero essere i suoi maggiori nemici, anche se in passato, ha difeso in sede processuale, i loro capi. La prego di aver rispetto per don Peppe e non dare nuovamente credito a calunnie che, negli anni passati, killer e mandanti hanno cercato di riversare su una loro vittima innocente».

Dopo la lettura di denuncia da parte di Saviano, si è scatenata la bagarre e in molti hanno chiesto le dimissioni di Pecorella che, costretto, chiese scusa alla famiglia del sacerdote, precisando che si trattò del solito complotto ordito nei suoi confronti.

In terra casertana, gli interessi tra imprenditoria, mafia e politica, spesso si confondono. Le battaglie sono pretestuose. I consorzi sono controllati. I posti di lavoro sono assegnati a tavolino. Lo Stato presente in questa zona, si dice disposto a trattare ma, del resto, ha la faccia dei politici a disposizione del clan, degli imprenditori complici, dei vari tecnici di ogni ordine e grado.

Ecco, in questo contesto, l’avvocato Cipriano Chianese con un meccanismo semplice faceva il bello e il cattivo tempo.

Affare rifiuti in terra di Gomorra, tra pallottole e fango.

Nel periodo 2001-2003, per esempio, chiudeva le discariche, in piena emergenza, ed imponeva al Commissariato di pagare le spettanze.

Lo Stato, per evitare la vergogna dei rifiuti in strada, si è piegato, più volte, al volere del satrapo dei sacchetti. Referente ed organizzatore della devastazione ambientale prima ( dal 1988 al 1996), Chianese diventa successivamente (dal 1996 in poi) interlocutore serio e “benefattore” del Commissariato al quale avrebbe estorto soldi, in cambio dell’utilizzo delle sue discariche per continuare, come dichiara il pentito Gianni Mola, a svolgere attività di traffico illecito di rifiuti.

L’avvocato Cipriano ricorda il classico personaggio da film dell’uomo potente: dispone di buche per sistemare il pattume, controlla il territorio e ha la ricetta per sopperire alla mancanza di soluzioni da parte della classe politica locale che, nella migliore ipotesi e salvo rare eccezioni, è da considerare o incapace oppure in malafede.

Giuseppe Parente

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