Sono tanti gli elementi che legano i due esoneri che hanno scosso la pallanuoto italiana in questi ultimi giorni. Mario Sinatra e Riccardo Tempestini, entrambi Campioni d’Italia in carica, entrambi secondi in classifica, entrambi a gestire squadre che dopo aver saputo vincere in un anno difficile cercano di recuperare appieno il ruolo perso nell’estate del 2012. Due carriere che già in quell’anno si erano incrociate, con Tempestini che subentrava a Sinatra sulla panchina del Rapallo che diventava Pro Recco. Due tecnici che preferiscono la calma e il dialogo alle urla e alla disciplina imposta. Due tecnici alle prese con vertici societari che non solo non hanno dato la sensazione di supportarli quanto la situazione e le loro qualità avrebbero meritato, ma se ne dichiarano più o meno apertamente insoddisfatti. E se giovedì scrivevo “Lo stile, questo sconosciuto…” commentando il comunicato con l’intervista a Luca Antonucci, in molti hanno definito una caduta di stile, ad essere buoni, le parole con cui a Tempestini si è detto, più o meno, “grazie di tutto, ma ora lascia fare a quelli capaci davvero”.
Fin qui le affinità. Dove le vicende si differenziano è nel rapporto con le squadre e nelle direzioni scelte dalle società. Difficile trovare una giocatrice allenata da Sinatra che non gli riconosca gratitudine, stima e rispetto; ne sia ulteriore prova, se mai necessaria, la lettera scritta dalle atlete del Rapallo all’indomani del suo esonero. Chi invece ha assistito alle ultime partite della Pro Recco non ha potuto fare a meno di notare che più di un giocatore mostrava segni di insofferenza ai limiti dell’insubordinazione alle direttive di Tempestini, situazione resa di dominio pubblico dalle impietose telecamere di Raisport durante i time out contro il Primorje (ed evidentemente non sfuggite nemmeno a Gabriele Volpi, che dalla tribuna non deve aver gradito molto la prestazione della squadra). E se a Rapallo si è scelta una soluzione interna ai limiti della scommessa ed esposta a inevitabili accuse di familismo, considerati nome e curriculum del nuovo tecnico, di certo non si può dire che la scelta della Pro Recco sia di basso profilo. La decisione, per la quale evidentemente si è lavorato molto sottotraccia nelle ultime settimane, di riportare Pino Porzio sulla panchina che lo ha visto dominare in Italia e in Europa per sette anni è scontata e clamorosa allo stesso tempo. Scontata perché si tratta dell’unico nome libero in circolazione in possesso delle capacità e del carisma indispensabili al compito di raddrizzare la rotta in campionato e soprattutto in Champions League; clamorosa per la “fuga” da Recco del 2012 della quale nessuno ha mai spiegato le reali motivazioni. L’ombra del tecnico napoletano ha aleggiato per tutta la scorsa stagione e ancor più nell’attuale su un ambiente che pareva replicare il rimpianto di Denethor per Boromir-Porzio scaricato su Faramir-Tempestini, con la sola differenza che qui è stato Faramir a rimetterci (professionalmente) le penne.
Nonostante la mia personale idiosincrasia per i cambi di allenatore riconosco che sia possibile, e non ci vorrà molto a scoprirlo, che questa sia stata una scelta giusta. Ma questo non mi toglie dalla testa che così come Mario, anche Riccardo sia stato trattato ingiustamente. La Pro Recco perde un uomo che avrebbe meritato maggior fiducia da parte di dirigenza, giocatori e tifosi. E al quale auguro di trovare una squadra che sappia apprezzarne e valorizzarne le capacità e le competenze tecniche, sulle quali credo non sia secondo a nessuno in Italia.