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Dicono che dopo Omero non sia più stato possibile scrivere storie veramente nuove e originali. Immagino che la cosa si ancora più evidente se si parla di gialli o noir, che ormai vanno per la maggiore e sono uno sfracco e una sporta. E, in effetti, è un po’ quello che ti viene in mente cominciando Venti corpi nella neve, a partire dalla copertina che, mannaggia, sia per il titolo, sia per l’ambientazione (neve e sangue, bianco e rosso) mi ha ricordato XY del fu grande scrittore Veronesi. Poi: c’è il commissario ombroso e tormentato che si rifugia nell’Appennino emiliano (Santovito è da quelle parti anche lui), seguito casualmente dalla donna lasciata perché incapace di sopportare un problema e il problema è parallelo a quello del commissario Ricciardi (di de Giovanni), là è il Fatto, qui è la Danza; il collega della scientifica ricorda (uno stampo e una figura) Iannuzzo di Montalbano, mentre il collega e basta poteva essere, a scelta, uno stronzo, un dongiovanni o un amico, e qui è un amico. Anche la storia è giocata (come usa da un po’) su due piani temporali, passato e presente, che qui sono Resistenza e oggi (e viene in mente l’ultimo di Aldo Cazzullo, La mia anima è ovunque tu sia). Tutto questo per dire che queste cose le ho viste, le ho notate, e non potete venirmi a dire, alla fine: sì, va bene, ma non ti sei accorta che…? Sì, me ne sono accorta, zitti lì. Vale ugualmente la pena di leggere. Perché è un romanzo che si legge in fretta e con piacere: la scrittura è forte e decisa, senza fronzoli inutili (magari, qualche volta, si desidererebbe addirittura qualche smussatina in più, qualche giro di parole o di azioni più lento); i personaggi sono credibili, anche quelli minori, costruiti a volte con poche, essenziali, pennellate; se il colpevole del passato è noto e odiato da molti, la sfida a scoprire il colpevole del presente è netta e senza trucchi. Quando particolari vengono taciuti, è chiaro che si tace proprio per non rivelare troppo, e noi si continua a leggere per scoprire. La mescolanza tra le vicende dell’oggi e quelle della Resistenza è trattata con mano molto più sicura di quello che accade con il confusionario Cazzullo; l’avanti-indietro tra passato e presente è, come dire, pieno di armonia, nonostante gli orrori e le tristezze, e la storia del passato è curata, ben costruita a poco a poco, non subito rivelata, con il partigiano, personaggio principale, che si precisa nel tempo (cioè, nelle pagine). E se a un certo punto, già quasi alla fine, mentre il commissario cerca ancora l’assassino, avete un soprassalto e vi trovate a pensare: ma, diavolo!, non sarà mica che…?, significa che anche qualche indizio è stato ben seminato, ma ve ne potete accorgere soltanto quando l’autore decide di far precipitare le cose (assenze, telefonate, corse, slittamenti…) verso la conclusione.
Venti corpi nella neve
Giuliano Pasini (Ed. Fanucci/TimeCRIME)
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