AFRICA di José Saramago "In Africa, si dice, i morti sono neri e le armi bianche. Sarebbe difficile trovare una sintesi più adeguata della successione di disastri che è stata e continua a essere, da secoli, l’esistenza nel continente africano. Il luogo del mondo in cui si dice sia nata l’umanità non era certamente il paradiso terrestre quando i primi “esploratori” europei vi ci sono sbarcati (al contrario di quello che dice il mito biblico. Adamo non è stato espulso dall’eden, semplicemente non c’è mai entrato), ma, con l’arrivo dell’uomo bianco si sono spalancate, per i neri, le porte dell’inferno. Queste porte continuano a essere implacabilmente aperte, generazioni su generazioni di africani sono state sacrificate dinanzi alla mal celata indifferenza o all’impudente complicità dell’opinione pubblica mondiale. Un milione di neri morti per la guerra, per la fame o per malattie che sarebbero potute essere curate, peserà sempre meno sul bilancio di qualsiasi paese dominatore e occuperà meno spazio nei notiziari rispetto alle quindici vittime di un serial killer. Sappiamo che l’orrore, in tutte le sue forme, le più crudeli, le più atroci e infami, incombe e rabbuia tutti i giorni, come una maledizione, il nostro disgraziato pianeta, ma l’Africa sembra essere diventata la sua zona preferita, il suo laboratorio sperimentale, il luogo in cui l’orrore si sente più a suo agio nel commettere nefandezze che giudicheremmo inconcepibili, come se i popoli africani fossero stati segnati alla nascita da un destino di cavie, su cui, per definizione, ogni genere di violenza è permessa, tutte le torture giustificate, tutti i crimini assolti. Al contrario di quello che molti si ostinano a credere non ci sarà un tribunale di Dio o della Storia a giudicare le atrocità commesse dagli uomini sugli uomini. Il futuro, sempre così disponibile nel decretare questa tipologia di amnistia generale che è l’oblio mascherato da perdono, è anche bravo nell’approvare, tacitamente o esplicitamente, a seconda della convenienza dei piani economici, militari e politici, l’immunità a vita per gli autori diretti e indiretti dei più mostruosi gesti contro la carne e lo spirito. È un errore consegnare al futuro l’incarico di giudicare i responsabili della sofferenza delle vittime di oggi, perchè questo futuro non smetterà di avere le sue vittime e allo stesso modo non saprà resistere alla tentazione di rimandare a un altro futuro ancora più lontano il meraviglioso momento della giustizia universale a cui molti di noi fingono di credere come la maniera più facile, e anche più ipocrita, di eludere responsabilità che spettano solo noi, e a questo presente che siamo. Si può capire qualcuno che si scusi dicendo: “Non sapevo”, ma è inaccettabile che si dica: “Preferisco non sapere”. Il funzionamento del mondo ha smesso di essere il mistero che era, le leve del male sono sotto gli occhi di tutti, per le mani che le governano ormai non ci sono più guanti a sufficienza per nascondere le macchie di sangue. Dovrebbe essere quindi facile per chiunque scegliere tra il lato della verità e quello della menzogna, tra il rispetto umano e il disprezzo per l’altro, tra quelli che sono a favore della vita e quelli contro. Tristemente le cose non vanno sempre così. L’egoismo personale, la pigrizia, la mancanza di generosità, le piccole vigliaccherie quotidiane, tutto questo ha contribuito a questa pericolosa forma di cecità mentale che consiste nello stare al mondo senza vederlo, o vederne solo quello che, in quel momento, è più utile ai nostri interessi. In questi casi non possiamo desiderare altro che la coscienza venga a strattonarci con violenza per un braccio chiedendoci a bruciapelo: “Dove vai? Cosa fai? Chi credi di essere?”. Un’insurrezione di coscienze libere è quello di cui avremmo bisogno. Sarà ancora possibile?"
AFRICA di José Saramago "In Africa, si dice, i morti sono neri e le armi bianche. Sarebbe difficile trovare una sintesi più adeguata della successione di disastri che è stata e continua a essere, da secoli, l’esistenza nel continente africano. Il luogo del mondo in cui si dice sia nata l’umanità non era certamente il paradiso terrestre quando i primi “esploratori” europei vi ci sono sbarcati (al contrario di quello che dice il mito biblico. Adamo non è stato espulso dall’eden, semplicemente non c’è mai entrato), ma, con l’arrivo dell’uomo bianco si sono spalancate, per i neri, le porte dell’inferno. Queste porte continuano a essere implacabilmente aperte, generazioni su generazioni di africani sono state sacrificate dinanzi alla mal celata indifferenza o all’impudente complicità dell’opinione pubblica mondiale. Un milione di neri morti per la guerra, per la fame o per malattie che sarebbero potute essere curate, peserà sempre meno sul bilancio di qualsiasi paese dominatore e occuperà meno spazio nei notiziari rispetto alle quindici vittime di un serial killer. Sappiamo che l’orrore, in tutte le sue forme, le più crudeli, le più atroci e infami, incombe e rabbuia tutti i giorni, come una maledizione, il nostro disgraziato pianeta, ma l’Africa sembra essere diventata la sua zona preferita, il suo laboratorio sperimentale, il luogo in cui l’orrore si sente più a suo agio nel commettere nefandezze che giudicheremmo inconcepibili, come se i popoli africani fossero stati segnati alla nascita da un destino di cavie, su cui, per definizione, ogni genere di violenza è permessa, tutte le torture giustificate, tutti i crimini assolti. Al contrario di quello che molti si ostinano a credere non ci sarà un tribunale di Dio o della Storia a giudicare le atrocità commesse dagli uomini sugli uomini. Il futuro, sempre così disponibile nel decretare questa tipologia di amnistia generale che è l’oblio mascherato da perdono, è anche bravo nell’approvare, tacitamente o esplicitamente, a seconda della convenienza dei piani economici, militari e politici, l’immunità a vita per gli autori diretti e indiretti dei più mostruosi gesti contro la carne e lo spirito. È un errore consegnare al futuro l’incarico di giudicare i responsabili della sofferenza delle vittime di oggi, perchè questo futuro non smetterà di avere le sue vittime e allo stesso modo non saprà resistere alla tentazione di rimandare a un altro futuro ancora più lontano il meraviglioso momento della giustizia universale a cui molti di noi fingono di credere come la maniera più facile, e anche più ipocrita, di eludere responsabilità che spettano solo noi, e a questo presente che siamo. Si può capire qualcuno che si scusi dicendo: “Non sapevo”, ma è inaccettabile che si dica: “Preferisco non sapere”. Il funzionamento del mondo ha smesso di essere il mistero che era, le leve del male sono sotto gli occhi di tutti, per le mani che le governano ormai non ci sono più guanti a sufficienza per nascondere le macchie di sangue. Dovrebbe essere quindi facile per chiunque scegliere tra il lato della verità e quello della menzogna, tra il rispetto umano e il disprezzo per l’altro, tra quelli che sono a favore della vita e quelli contro. Tristemente le cose non vanno sempre così. L’egoismo personale, la pigrizia, la mancanza di generosità, le piccole vigliaccherie quotidiane, tutto questo ha contribuito a questa pericolosa forma di cecità mentale che consiste nello stare al mondo senza vederlo, o vederne solo quello che, in quel momento, è più utile ai nostri interessi. In questi casi non possiamo desiderare altro che la coscienza venga a strattonarci con violenza per un braccio chiedendoci a bruciapelo: “Dove vai? Cosa fai? Chi credi di essere?”. Un’insurrezione di coscienze libere è quello di cui avremmo bisogno. Sarà ancora possibile?"
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