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Hayet e Sumaya, due donne, una marocchina e una saharawi, si sono incontrate e si collaborano, lavorando insieme , nella lontana Dakhla.Contro ogni forma di becero razzismo.
Dakhla è una piccola città tra le sabbie polverose del deserto , dimenticata dai più, e situata nel Sahara Occidentale,quella che è terra dei saharawi, un popolo di profughi ,che ancora oggi è senza patria, a partire dalla fine della colonizzazione spagnola (1976).Vessato poi, attualmente, dal Marocco(il muro della vergogna protetto da militari e mine), che rivendica il possesso di quel territorio per ragioni d’interesse prettamente economico. E cioè la ricchezza mineraria inestimabile del suo sottosuolo.
L’incontro delle due donne, un piccolo miracolo d’amore e di fratellanza autentica , è avvenuto e si ripete finora, quotidianamente, al Centro per bambini con disabilità, che è sorto lì, per interesse di un uomo,un certo Bouh, musulmano, che affetto anch’egli da una disabilità (poliomelite contratta in età da bambino) dopo essere stato curato, a suo tempo, a Tenerife, ha desiderato fare qualcosa per tutti coloro che a Dakhla e dintorni sono soggetti a discriminazioni in quanto portatori di handicap.
E l’impresa è riuscita grazie soprattutto alla generosità e alla collaborazione di tanti amici, che hanno avuto l’opportunità di conoscere Bouh e il suo grande cuore.
Ma torniamo a Hayet e Sumaya.
Hayet ha una bimba di sei anni,molto malata, che deve portare periodicamente al Centro,contando solo sulla forza delle sue braccia. E la bimba, che cresce, diviene ogni giorno più pesante.
Hayet non ha soldi per un taxi e, perciò, fa la strada a piedi sotto un sole impietoso.
Non ha marito, perché l’uomo l’ha abbandonata proprio a causa della disabilità della figlia, di cui si vergogna.
Per sopravvivere economicamente Hayet conta solo su una madre anziana e sull’aiuto di una sorella minore.
Le donne vivono in una piccola casa senza arredi. Si dorme su stuoie. L’unico pezzo d’arredamento (se così si può dire) è un seggiolone adattato per far stare seduta la bambina.
Sumaya periodicamente, con tenacia e speranza, insegna a Hayet gli esercizi per alleviare la condizione di sofferenza di sua figlia e da qui è nata un’intesa di collaborazione, che non è azzardato definire amorevole.
Il fatto è che un giorno Sumaya, come tutte le donne marocchine del suo ceto, inevitabilmente, e com’è giusto, si sposerà e non sarà più a svolgere il suo lavoro al Centro.
Ecco, allora, che Bouh deve darsi da fare con gli amici in Europa, in Italia. E questo per garantire un ricambio che a Dakhla è prezioso.
Chi volesse saperne di più e, magari, pensare a dare una mano alle tante Hayet, che purtroppo ci sono e sono tante laggiù, in Italia può rivolgersi, per esempio, al Centro Missionario di Reggio Emilia, che già ha fatto e fa parecchio per Dakhla.
Non c'è cosa più bella che donare, a chi ne ha bisogno, un po' del nostro tempo, del nostro affetto e delle nostre competenze.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)