Sotto un cielo di calce, le ferme parole
Di Lèopold Sèdar Senghor .
Friniscono le cicale fra i rami spinosi delle acacie
Gl’insetti, al riparo delle flessuose erbe, ristanno.
Riposa nel meriggio, all’ombra di se stessa, la natura
Immobili i pastori, l’occhio attento all’ondeggiare
Delle greggi, attendono la sera
Cantano, nel cerchio del villaggio,
le donne, occhi di gazzella sgargianti
di femminilità, calpestio ritmato sulla terra.
Attendono il ritorno dell’uomo e il silenzioso
Respiro della notte trai voli occhiuti dei rapaci
E il ruggito bramoso delle fiere.
Avverti che il vento della rivolta cavalca
Sulla pelle dei giovani studenti in piazza Tahrir.
Fremono le fanciulle, come gli immensi armenti
Del Serengeti dopo la stagione delle piogge,
Innalzando cartelli
Ricercano al crepuscolo dissolvere
I melmosi silenzi dei Rais
Insieme triturano persone, parole e corpi umani
Già senza vita.
Chiedono all’aria di obliare questo inferno
Vulnerabile di fragili promesse.
Accogli, popolo, fra le braccia la richiesta
Di questa selvatica preghiera.
Inshallah.