(pubblicato su Develop.med dell’Istituto Paralleli)
“Creare una cintura di stabilità, sicurezza e prosperità attorno alla Turchia”, che aspira a diventare “il centro geopolitico della regione afro-eurasiatica”. E’ l’obiettivo fondamentale della politica “degli zero problemi” enunciata e applicata dal ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu: come il capo della diplomazia turca ha ribadito – con convinzione e compiacimento – nel discorso introduttivo dell’Africa-Turkey Partnership Ministerial Review Conference, il 16 dicembre nel palazzo imperiale di Dolmabahçe in riva al Bosforo; un incontro che è servito a ministri degli esteri, ambasciatori e rappresentanti delle organizzazioni regionali africane – insieme ai funzionari turchi – per fare il punto sui legami istituzionali – i meccanismi di follow-up – avviati con il Turkey-African Cooperation Summit di Istanbul del 2008. Questo summit con la partecipazione dei vertici politici, che verrà riproposto con cadenza quinquennale (il prossimo si terrà nel 2013 in uno stato africano), è il perno di una vera e propria “strategia africana” della Turchia, di cui è utile richiamare le tappe evolutive per illustrarne gli elementi essenziali; una strategia che, come ha evidenziato Davutoğlu, fa parte di un progetto politico di più vasto respiro nell’ambito del quale la Turchia cerca di eliminare il contenzioso coi paesi vicini, di mediare nei conflitti regionali, di esercitare una capillare influenza geopolitica e geoeconomica, di spronare alla creazione di aree di cooperazione politica ed economica. Perché solo creando la “cintura di stabilità, sicurezza e prosperità” auspicata dal professore di relazioni internazionali prestato alla politica – un po’ come Henry Kissinger – la Turchia potrà continuare quella fragorosa crescita economica – 8% anche nel 2011 – che la sta rendendo più ricca, moderna e globalizzata.
L’interesse della Turchia per l’Africa si è ufficialmente tradotto in iniziativa politica già nel 2005, con l’Anno dell’Africa in Turchia: a cui hanno fatto seguito il Summit di cooperazione nel 2008 e un vastissimo tour diplomatico del presidente Gül (ma altrettanto numerose erano state in precedenza le visite del premier Erdoğan) nel triennio 2009-2011. In più, nel 2010 si è tenuto a Istanbul il primo Turkey-African Cooperation Senior Officials Meeting, che è servito per adottare il Turkey-African Partnership Implementation Plan, 2010-2014; e la Turchia, nel 2011, ha ospitato la quarta conferenza delle Nazioni Unite sui paesi meno sviluppati, per la maggior parte africani: ha concesso un pacchetto decennale di aiuti che ammonta a tre miliardi di dollari (con l’aggiunta di mille borse di studio), si è proposta come “la voce dell’Africa” in tutti i consessi internazionali di cui fa parte – a partire dal G20 di cui è membro fondatore. Come ha affermato a maggio del 2011 lo stesso presidente Gül in un discorso pubblico, l’approccio della Turchia verso l’Africa “non è economicamente e finanziariamente motivato. Al contrario, perseguiamo una strategia integrata per contribuire alla crescita e allo sviluppo dell’Africa”: come dimostrano le iniziative in molti paesi – sotto la guida della Tika (Agenzia turca per lo sviluppo e la cooperazione) – per migliorare le rese agricole e l’accesso ai servizi sanitari, alla formazione primaria e all’acqua potabile; o la visita di Erdoğan e di molti membri del governo quest’estate in Somalia, dove le ong turche sono particolarmente attive in progetti d’emergenza e a lungo termine.
Nel suo intervento inaugurale della Ministerial Review Conference, il capo della diplomazia turca ha offerto i dettagli numerici di questa e di altre dimensioni della cooperazione turco-africana. Sono stati avviati o già realizzati 113 progetti di assistenza allo sviluppo e 37 campagne d’aiuti umanitari, sono state attivate 30 scuole superiori turche in Africa e concesse 2500 borse di studio a studenti africani nelle università in Turchia; l’interscambio ha raggiunto i 17 miliardi di dollari nel 2011, + 20% rispetto al 2010; la compagnia di bandiera THY ha ormai 17 destinazioni africane e presto ne aggiungerà altre; nello spazio di tre anni le ambasciate turche nei paesi africani sono passate da 12 a 33, quelle dei paesi africani in Turchia da 14 a 25; e sempre negli ultimi tre anni i vertici politici turchi hanno compiuto 37 visite in Africa, ricevendone a loro volta 76. Numeri eloquenti che evidenziano non solo un incremento quantitativo ma anche un salto qualitativo nei rapporti tra Turchia e Africa. Per il ministro degli esteri di Ankara, che in maniera non troppo velata ha chiesto i voti per l’elezione come membro a rotazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu per il biennio 2015-2016, “la Turchia e l’Africa condividono una visione e un approccio simili per il futuro. Noi consideriamo l’Unione africana come uno degli attori internazionali principali nel XXI secolo e desideriamo vedere una più forte influenza africana negli affari mondiali.” Insomma, la Turchia punta decisamente sull’Africa: anche perché “ospita sei tra le dieci economie a più alto tasso di crescita e si stima che nei prossimi 40 anni il suo Pil crescerà nel modo più veloce al mondo, grazie alla sua popolazione dinamica e alle sue risorse naturali”. L’apprezzamento degli stati africani per la strategia turca e per i risultati eccellenti e incoraggianti della partnership turco-africana sono stati esplicitati nella dichiarazione finale; mentre gli uomini d’affari – 600 turchi e 350 africani – hanno potuto incrementare l’interscambio in tempo reale, nell’ambito del “ponte commerciale” Turchia-Africa organizzato in parallelo e in simbiosi con la Ministerial Review Conference – sempre a Istanbul – dall’associazione imprenditoriale Tuskon.