A. Bronkhorst, Mask Week - cup of rosie lee
Così i presentatori dei seguitissimi quiz americani tengono il pubblico incollato al televisore, pronunciando questa espressione guardando dritto in camera, come se al ritorno si svelasse l'assassino e la gente... ritorna.La pubblicità mi diverte, in generale, la trovo più sfacciata, più “onesta” del marketing. Il secondo ragiona nel senso: “non ti piace? sei un perdente”, la prima per lo meno ha il coraggio di dire “non ti piace? va bè, mi pagano per dire che è migliore di altro, che ci posso fare?”.
Nelle pubblicità, gli oggetti, anzi scusate, i prodotti sembrano enormi e se ne usano quantità industriali. Le persone sono sempre vestite bene, anche per lavarsi i denti o pulire per terra, indossano abiti classici, dai torni pastello che fanno pendant con la tappezzeria o il pavimento (a seconda). Nelle pubblicità le donne o sono oche o sono domestiche o sono mamme perfette (più che altro perfettamente finte) o sono vacche oppure sono stronze. Quelli che mi fanno più ridere sono gli spot dove “l'esperto” conferma che il prodotto è “certificato e garantito” dall'“associazione che certifica e garantisce i prodotti buoni e ha un nome impronunciabile”. Mi immagino l'agenzia mentre si scervella: “dobbiamo trovare un attore, ma abbastanza sfigato per essere credibile come odontotecnico, ginecologa, ecc.”Molti fotografi hanno illustrato questo tema, fotografando cartelloni pubblicitari a fianco dei quali camminano passanti distratti o attratti, lontani o desiderosi di essere “dentro” quelle fotografie; certo sono interessanti, ma dopo un po' mi annoiano queste immagini e non era questo che stavo cercando. Ho deciso invece di parlare di Adam Bronkhorst e ora spiego perché. Io penso che Adam abbia uno stile per certi aspetti molto “pubblicitario”: l'immagine senza ombre, leccatissima, lucidissima, i colori sgargianti, però usi questo stile per creare un mondo ironico, sarcastico forse proprio nei confronti degli spot. È un ribaltamento dei ruoli che nelle pubblicità sono ferrei: l'uomo non è per forza micio o macho – in questo foto è più che altro un po' cretino – i sorrisi sono “troppo” sgargianti, i cibi “troppo” perfetti; i cliché sono a tal punto esasperati, è tutto talmente irreale e artefatto da risultare a suo modo genuino e terribilmente divertente. Dedico questo post alla ragazza che è passata ieri in motorino nel sottopasso tra via Schievano e viale Cassala, Milano, urlando a squarciagola: “Io devo andare a lavorareeeee, non ho tempo da perdere e mi dà fastidiooooo!!!!!”: una delle poche cose che mi ha fatto sorridere in questi giorni uggiosi, in cui Jack è malato.
A. Bronkhorst, FDF waiter
A. Bronkhorst, In the movies
A. Bronkhorst, DAZ
A. Bronkhorst, Speghetti on toast