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Anna (Christina Ricci) si precipita in macchina nella pioggia, dopo una lite furibonda col suo fidanzato, e si risveglia sul tavolo preparatorio per il suo funerale. Eliot (Liam Neeson), la persona che si occupa di prepararne il corpo, le spiega che, anche se a lei sembra di essere ancora viva, in realtà è nel limbo che precede la morte e che lui riesce a comunicare con lei tramite la sua capacità di parlare coi morti. Anna è una persona spaventata. La gran parte della sua vita adulta è stata funestata dalla sua paura di amare e dal desiderio di sottrarsi alle pressioni. L'ultimo episodio la vede in fuga dal suo possibile futuro con un fidanzato innamorato, correre in macchina nella pioggia incontro alla sua triste fine. Ma in realtà non è ancora finita perché Anna non ha accettato la sua condizione e si oppone al destino che la attende. Eliot la rassicura e le parla, perché lui ha un dono che gli consente di sentire i morti e di vederli per quello che sono nella fase di transizione, e mentre la prepara lei si lascia lentamente convincere. Ma la paura permane, e Anna continua a pensare di non essere morta affatto, e che Eliot sia soltanto un pericoloso psicopatico che l'ha drogata e che si propone di seppellirla viva.
Giocato sul filo di un'ambiguità svelata soltanto nel finale, questo After.Life gioca a più livelli sulla paura della morte e su quella della vita, che paiono affliggere in eguale misura i protagonisti del dramma. Anna non ha mai realmente vissuto, per cui si aggrappa al rifiuto della morte come fosse la sua unica, ultima occasione di vivere. E in un certo senso le cose stanno proprio così, dal momento che in questa ultima fase avrà l'occasione di rivedere le sue scelte e la sua vita, e scoprire cosa realmente avrebbe voluto.
Eliot si occupa del suo corpo, ma in realtà anche del suo spirito, infatti le parla e la rassicura preparandola a quello che la aspetta. Ma quello a cui nessuno è mai pronto è la rinuncia ai propri sogni e a una vita che non è stata quello che ci si aspettava. Infatti i rimpianti di Anna sono molti, e lei si oppone al suo destino proprio aggrappandosi a tutto quello che non ha fatto in vita.
L'ambiguità è il sentimento dominante all'interno di questa pellicola interessante dell'ersordiente Agnieszka Wojtowicz-Vosloo, certo ma a tratti pesantemente allusiva, ogni gesto è un simbolo, ogni parola un indizio, che presto svela il suo carattere di critica allo stile di vita delle persone che scelgono la passività. Eliot detesta la foga di cui danno prova i defunti affidati alle sue cure. Gli piacerebbe che ne facessero un uso maggiore quando sono ancora in tempo per fare qualcosa della loro stessa vita. Ma non tutti ci riescono, e molti se la prendono con lui per non esser riusciti a fare le cose che volevano. Gli attribuiscono la loro morte, come se lui ne fosse la causa diretta, e si rifiutano di farsi accompagnare nel percorso che attende tutti, dopo la fine della vita. Ma forse le cose non stanno affatto così, e Eliot non ha nessun potere, se non quello di individuare persona già morte, che ancora camminano e tolgono l'ossigeno a chi invece vuole vivere. Persone che vanno seppellite al più presto per lasciare spazio a chi merita di vivere.
Ma chi è che decide a chi spetta la vita e a chi la morte? Certo sembra un compito ingrato e per la verità poco adatto a un'anima umana, sembra destinato piuttosto alle entità soprannaturali o alle eventuali divinità. Ma Eliot non è nessuno delle due, quindi se davvero Anna non fosse morta, si troverebbe nella pericolosa circostanza di esser preda di uno psicopatico con manie di onnipotenza.
La buona interpretazione di Liam Neeson, sobria ma a tratti inquietante, accresce il senso di ambiguità che permea anche la mente di Anna, una misurata Christina Ricci, dolce, spaventata e passiva in modo preoccupante. La sua rassegnazione e la blanda opposizione che a tratti la induce a dubitare di Eliot, sono i segni distintivi di chi non ha mai preso una decisione convinta in tutta la sua esistenza. E in questo caso anche dopo.
La regia segue stancamente i tentativi di Anna di sfuggire alla morte nello stesso modo in cui è riuscita a sfuggire alla vita: negandola. Lo spazio in cui lei si muove è freddo, asettico e pesantemente opprimente, e in realtà è lo stesso che ha occupato anche da viva, un luogo in cui c'è poco spazio di manovra, nessuna via di uscita e che invita al riposo. La fotografia e le scenografie curatissime completano il quadro di un'asfissiante monito contro tutte le passività pericolose in vita, come nella morte. E allo spettatore non resta da fare altro che constatare alla fine chi dei due avesse ragione. E trarre da sé le sue conclusioni.
Fonte: http://www.cinemalia.it
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