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L'impressione è quella di trovarsi già lì, all'interno di quell’unica inquadratura, di quell’unico spazio, e riscoprire, in un'istante, una famiglia a cui sei sempre stato affezionato. Una lunga, bellissima chiacchierata tra Tsai Ming-liang e Lee Kang-sheng (anche se, in realtà, a parlare è quasi sempre Tsai, mentre Lee è il vero mistero, il vero grande segreto, enigma del film). Una formidabile storia d'amore rinchiusa nell'intimità di una casa abbandonata, ennesima rovina del suo cinema. Perché - lo si dice nel film - tutto il cinema di Tsai è un cinema che si muove intorno alle rovine (anzi, i suoi film stessi sono rovine, resti del tempo, scarti esistenziali) e anche loro due, Tsai e Lee, saranno un giorno residui del mondo pronti a lasciare un silenzio, un'assenza, una mancanza sullo schermo (l'immagine finale delle sedie vuote, dove la mente rimbalza immediatamente alle sedie di "Francofonia" di Sokurov - in un gioco-rimando tutto festivaliero). "Afternoon" è un film lieve che ruota intorno alla morte, dove Tsai sembra consumato da una malattia che affronta con un'incredibile leggerezza (sembra quasi il film di un uomo prossimo a morire). E verso il finale si trova un momento davvero clamoroso, in cui il regista dice di credere ancora nella bontà degli uomini. E aggiunge: "In fondo il mio cinema ha sempre parlato di questo". Grazie.
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