Agostino Cornali, QUESTO SPAZIO PUO’ ESSERE NOSTRO, LietoColle 2012
Quindi, questi paesaggi, sono anche da intendersi come transumanza tra il dentro e il fuori, geometrie interne di stanze spoglie – “la mia casa è stata venduta/due volte,/e adesso ci vive un ragazzo/che non conosco” – e quartieri che desiderano, infine, il silenzio della dimenticanza, dell’essere stati vivi e forse sbagliati.
Ma, in fondo, niente avrebbe nome e senso per noi senza quel ramo spezzato e caduto nel mezzo di un ruscello che è la poesia. Il poeta si sente addosso la vergogna del disertore per trovare somiglianze e sentire quello spleen che attraversa i secoli e ci fa contare gli anni a ritroso – in fondo questo dovrebbe fare la poesia: – “percorrere a ritroso/l’evoluzione della specie”.
Questi paesaggi, dunque, sono destinati a sprofondare nella melma del sonno millenario portandosi con sè anche l’umana gloria della specie e mostrandoci segni premonitori: gli occhi di “cetaceo,/ o di gambero”, apparsi di notte come fari luminosi sulla statale…”la tigre (…) che accarezziamo a turno ogni sera (…) l’erba nera/che cresce intorno alle fabbriche” finchè non se ne saranno andati via tutti…
Vale, per queste poesie, la dichiarazione evangelica della parusia – ora e qui è il regno – passato l’inverno di un’apocalisse che nulla cancella e tutto trasforma. L’essere è abitato da una spina incarnata che non fa sanguinare la carne ma la fa attendere. L’attesa della fine, allora, non è quella della morte violenta del sangue che fluisce, quanto, piuttosto, della vocazione alla scomparsa, al nascondimento, alla morte per ghiaccio. Così Agostino Cornali ci invita a vedere ciò che prima non vedevamo, offuscati dai colori e dal rumore del tempo:”Forse è questo il respiro della campagne,/la voce sommessa della tua terra”. Ci invita a pronunciare il nome mettendo l’accento sulla sillaba giusta. Un’opera prima che si pone nel solco di una parola capace di ri/nominare il mondo prima che sia troppo tardi.
Sebastiano Aglieco
Una selezione di testi QUI