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Agricoltura partecipativa: un primo maggio salentino

Da Trentinowine

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La Puglia, regione che ha sempre vantato una grande tradizione agricola, è ormai sepolta da pannelli fotovoltaici. La cosa che io ritengo più grave, è che quasi nessuno, ormai, si scandalizza o si meraviglia, se passeggiando incontra enormi distese di silicio e ferro. Parlando della Puglia, ormai, lo si fa solo, per vantare il suo primato di produzione di “energia pulita”, trascurando il fatto che, per questo tipo di produzione, sono stati strappati alle amorevoli mani contadine ettari ed ettari di terreno agricolo.

A Mesagne, però, a due passi da Brindisi nasce un’associazione, composta da 8 ragazzi coraggiosi Sergio, Antonio, Giuseppe, Gigi1, Gigi2 e Ramona, che ha deciso di opporsi a questo stato di cose. Il loro motto è “agricoltura è condivisione e partecipazione“.

Trascorro questo I maggio 2012 insieme ad amici e ai ragazzi di Agricoltour. Siamo in un terreno agricolo di 2 ettari a Mesagne (Br) e dopo un ricchissimo pranzo consumato in tutto relax sotto l’ombra degli alberi, ho fatto una bella chiacchierata con questi ragazzi soddisfatti e col viso segnato dal sole.

“Agricoltour nasce perché ci sentiamo sospinti da un unico desiderio: quello del cambiamento e dalla passione per l’agricoltura. La nostra associazione si prefigge di rivalutare il lavoro nelle campagne e di fare cultura, cioè far conoscere ai giovani la realtà contadina, patrimonio genetico di tutti noi salentini. Non vogliamo improvvisarci agricoltori, vogliamo diventare competenti nel settore, creare sostenibilità per le famiglie e perché no, esportare i nostri prodotti. Quello che stiamo vivendo oggi, I maggio è il nostro evento di presentazione”.

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“Noi vogliamo promuovere la nostra terra in maniera seria, non vogliamo far politica. Noi facciamo la nostra politica, che coincide con il bene dell’associazione e non con quella dei partiti. L’agricoltura, per secoli, ha dato da vivere a tante famiglie e adesso non ci si riesce più, spingendo i vecchi contadini a soccombere, cedendo i propri terreni alla coltura di una nuovissima specie di pianta: il pannello fotovoltaico e arricchire così le multinazionali dell’energia. Noi promuoviamo l’idea di un’agricoltura sostenibile ed ecocompatibile, che non sia in competizione con quella delle multinazionali; vogliamo ritornare a coltivare la terra, utilizzando gli antichi metodi, autogestirci e creare un reddito a misura di famiglia”.

“Questo è un progetto democratico, perché noi viviamo in un paese democratico e quindi vocato alla collaborazione e alla partecipazione sociale. La nostra speranza è che questa sia la soluzione che ci allontani dalla crisi. La crisi non esiste; la crisi la creiamo noi. Vogliamo raggiungere una consapevolezza alimentare, la qualità e la genuinità dei nostri prodotti alimentari, così come succedeva una volta”.

“Esempio ne è il menù di oggi. Abbiamo assaggiato “ciceri e tria“, tagliatelle al pomodoro, insalata con fagioli, pomodori, cipolla, rucola. Il pane e le frise sono state fatte con un grano antico e pregiato il “Senatore Cappelli“. Questo tipo di grano adesso è in disuso perché è costoso per le le multinazionali, da cui ci si rifornisce, ma non per noi e rappresenta una nostra grande tradizione. Per preparare il menu di oggi e far mangiare 100 persone abbiamo speso circa 300 euro (3 euro a persona). La farina è stata acquistata da un agricoltore della zona ad 1 euro al kg; il forno è stato gentilmente offerto da un nostro associato, anche le ramaglie ci sono state gentilmente offerte, se così non fosse stato, avremmo speso 5 euro per 2 balle di ramaglia. Abbiamo poi comprato 15 balle di fieno a 3 euro l’una, che sono quelle su cui ci siamo seduti adesso e la cui paglia useremo dopo per la pacciamatura. Abbiamo, poi, comprato le cipolle e il vino da un produttore locale, i prodotti sono stati acquistati tutti qui nel raggio di 6 km. Siamo costretti, però, ad acquistare molti dei prodotti che utilizziamo, perché il nostro raccolto non ha dato ancora i suoi frutti, ma presto abbatteremo anche questi costi”.

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“Vogliamo promuovere socialmente il nostro territorio dal punto di vista agricolo ed intellettuale. Grazie all’agricoltura dobbiamo maturare una nuova coscienza e reimpadronirci della cultura e delle colture del nostro passato”.

“Boicottiamo le multinazionali, che ci rendono schiavi e ritorniamo alle nostre tradizioni:il Kamut, il grano egizio, per esempio, è stato brevettato da una multinazionale e quindi se noi vogliamo usarlo, dobbiamo acquistarlo ad un prezzo maggiorato”.

“Io vengo da una esperienza contadina, mio padre per creare reddito, ha dovuto lavorare senza sosta sia in estate che in inverno, senza potersi permettere di andare al mare o di portare la sua famiglia in pizzeria. Io sono molto arrabbiato con chi lo ha strumentalizzato”.

“Chi ha venduto al fotovoltaico lo ha fatto perché era disperato, perché spinto dalla crisi. Ci sono tante persone, che hanno piccoli appezzamenti di terreno, che non riescono più a condurre da soli, perché i costi sono così alti e perché quello che si produce, serve appena a pagare le spese. Noi abbiamo preso in cura proprio questi terreni incolti, ma c’è poca gente che collabora nel lavoro manuale; abbiamo molta difficoltà a reperire manodopera. Noi lavoriamo gratuitamente e i terreni ci sono affidati in comodato d’uso gratuito. Sono certo che presto, volenti o nolenti, in molti si avvicineranno alla coltivazione della terra; so che, per abbattere i costi di gestione di vita famigliare, piccoli orticelli stanno nascendo, addirittura, sui balconi dei condomini… I nostri attrezzi da lavoro sono (ci pensano e sorridono) …abbiamo solo la zappa”.

“Gli strumenti agricoli sono costosi e difficili da reperire, ma pian piano stiamo riuscendo a creare una rete di agricoltori, che mettono in compartecipazione la propria attrezzatura agricola, …anche in questo modo si abbattono i costi di gestione”.

“A me, interessa molto l’agricoltura biodinamica, che prevede di suddividere, ad esempio, un appezzamento di 5 ettari in due parti: una per la coltivazione e l’altra resta lì in attesa, che arrivi il suo turno. In questo modo non si avrà mai una produzione di tipo industriale, che sfrutta i terreni fino all’osso, a noi questo genere di coltivazione non interessa. A noi non interessa produrre un pomodoro bello, noi lo vogliamo buono e sano. A noi non interessano le pesche belle e grosse, ma che poi, assaggiandole, non hanno sapore; le nostre pesche devono essere buone e genuine”.

“In un periodo di individualismo imperante, vogliamo riuscire a metterci in gruppo, ad aprirci all’alterità e cercare di andare d’accordo in un progetto che sia comune. Gli stessi contadini hanno sempre coltivato in maniera individualistica e secondo noi questo non è proficuo; adesso tocca a noi giovani cambiare registro… e allora lanciamo la nostra provocazione, che vuole essere anche una sfida: riusciremo noi giovani a costruire qualcosa di buono e di condivisibile?”.


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