Trama semiseriaRussell Crowe è un professore universitario con una vita ordinaria, fino a che non gli arrestano la moglie. Tutte le prove sono contro di lei: sembra proprio che abbia ucciso quella stronza di capa che aveva e che odiava. L’unico a credere nella sua innocenza è il solo Russell Crowe, che decide di mettere a punto un piano per farla evadere. E così si trasforma improvvisamente in un misto tra Jack Bauer, Rambo, Wonder Woman, Will Smith e Dio: ce la farà?
Recensione cannibaleC’è qualcosa di profondamente sbagliato, in The next three days. Sì, per una volta faccio un discorso di moralità e di verosimiglianza, due aspetti che di solito per me hanno un’importanza relativa sulla qualità di un film. Per quanto riguarda la morale, c’è sempre una differenza netta tra le azioni e i comportamenti dei personaggi e quello che può essere il pensiero dell’autore.In questo caso però mi sono chiesto: ma cosa ci vuole comunicare Paul Haggis con The next three days? È difficile capire dove voglia andare a parere con questo thriller da lui scritto e diretto, ma tratto dal francese Anything for her - Pour Elle, film già non particolarmente memorabile e che dimostra come, dopo l’orribile The Tourist remake di Anthony Zimmer, il cinema americano sia sempre più a corto di idee se continua a saccheggiare pellicole transalpine di livello medio. Trappole in cui persino il pubblico americano non cade più, visto che questo come The Tourist sono stati dei sonori flopponi, mentre solo il pubblico italiano non si smentisce mai e continua ad affollare le sale attirato dagli attoroni di fama.Non contento di “plagiare” Pour Elle (che non è il nome di un profumo), nel finale sembra inoltre che Haggis voglia suggerirci di come il caso giochi un ruolo fondamentale nelle nostre vite, in stile fratelli Coen o Match Point di Woody Allen, ma non solo; Russell Crowe in questo film viene quasi idealizzato a figura eroica, un Will Smith della situazione che attraverso situazioni assurde si immola in tutti i modi possibili (e non possibili) per ricongiungere la sua famiglia. Cosa che nell'originale francese è un po' più limitata.
Ci troviamo quindi con la solita vicenda dell’uomo che vuole farsi giustizia da solo, solo che in questo caso non sappiamo se abbia proprio tutte le ragioni del mondo. Sua moglie non è infatti una vittima del sistema giudiziario americano, non è una donna di colore, non ha subito alcun tipo di discriminazione ma ha avuto un processo giusto, tanto che persino lei stessa a un certo punto si confessa colpevole. Solo che Russell l’eroe, spinto da una forza che non definirei amore bensì più che altro Fede (non Emilio), crede ciecamente nell’innocenza delle moglie ed è disposto a tutto pur di sovvertire berlusconianamente quanto stabilito dai giudici (e qua allora forse Emilio Fede c’entra qualcosa). Russell Crowe qui si fa una giustizia tutta sua, non si ferma davanti a nulla e agisce senza scrupoli. È lui l’eroe? O è lui il cattivo? Paul Haggis sembra stare dalla sua parte, mentre io tifo contro.
Il bambino di Shining non è mai cresciuto?
L’altro problema è la questione della verosimiglianza. Per me il cinema è cinema e possono succedere cose incredibili, irrazionali e folli e anzi sono il primo a dar loro il benvenuto, vedi il caso esemplare di ieri di Rubber. Però in un film come questo che almeno nella prima parte gioca sul realismo, il contrasto con l’assurdità del secondo tempo è troppo stridente, per di più perché non sa giocare con le armi dell’ironia (come possono fare Quentin Tarantino o film sui supereroi come Kick-Ass) e quindi finisce solo per cadere nel ridicolo. È questo il caso soprattutto di una scena in cui Russell Crowe fa un numero automobilistico così assurdo da far apparire realistico addirittura il finale di Io, robot con Willy Smith. E poi il suo personaggio è pur sempre quello di un professore universitario con la panzetta; com’è che all’improvviso si trasforma in una sorta di incrocio tra Rambo e Jack Bauer? Il film non tenta nemmeno di spiegarci come questo passaggio avvenga. Persino in Kung Fu Panda, dove un panda pasticcione diventa Karate Kid nel giro di un paio di giorni, almeno ci viene mostrato un minimo di addestramento. Qui tutto avviene solo per magia e la fuga della moglie da un carcere di massima sicurezza viene escogitata solo grazie alle istruzioni di un Liam Neeson incontrato per 5 minuti in un caffè.Altra questione davvero inverosimile: Olivia Wilde e Moran Atias ci provano con er Gladiatore, e lui niente, reste stoicamente fedele alla moglie carcerata. Vi sembra possibile?E pensare che l’attacco del film è anche avvincente; la prima parte lascia infatti presagire uno di quei thrilleroni godibili tipo quelli che fino a qualche anno fa ci voleva rigorosamente Ashley Judd come protagonista, peccato che una durata mooolto esagerata (2h e 20 min) e un ritmo oscillante sciolgano parecchio la tensione. Il punto debole principale sta però per quanto mi riguarda sul piano della tematica della giustizia che affronta in maniera parecchio discutibile e anche confusa.Paul Haggis è un discreto mestierante, ma non è certo un vero Autore, già all’esordio alla regia aveva vinto con una botta di culo l’Oscar 2006 di miglior film con Crash - Contatto fisico, una pellicola discreta ma tutt’altro che eccezionale, una copia poco ispirata di Magnolia. Adesso però Haggis ritorna indietro ai livelli della serie di cui è stato co-creatore, quell’obbrobrio di Walker Texas Ranger, e sembra aver ormai perso ogni contatto con la realtà, proprio come il protagonista della sua pellicola. Peccato, perché il suo The next three days in fin dei conti non è un film brutto in senso assoluto; è solo inutile, visto che è il remake peggiorato di una pellicola appena del 2008. Ma soprattutto è un film che ha qualcosa di profondamente sbagliato.(voto 4,5)