Brown Ribbon era il nastrino di una vecchia campagna contro l'ipocrisia "Politically Correct"; ora è il titolo della rubrica di RightRugby per le polemiche controcorrente. Una rubrica che non ha paura di rischiare tackle un po' alti o prese di posizione apparentemente imbarazzanti, come quella di Bakkies Botha su Jimmy Cowan nel logo. Del resto: "If you can't take a punch, you should play table tennis".
Stavolta la testa nel vespaio la infiliamo andando a ripescare una scorrettissima battuta che l’attore inglese Hugh Grant ha espresso nel corso della partita tra Inghilterra e Scozia nel 6 Nazioni da poco alle spalle.Intervistato dalla BBC mentre seguiva il match dalla tribuna di Twickenham, il protagonista di “Quattro matrimoni e un funerale” e “Notting Hill” ha ricordato i tempi in cui, da bravo inglese di buona famiglia, praticava la nobile arte del rugby a scuola, dove apprese che “fa molto meno male placcare l’avversario duramente, piuttosto che come una checca”.
Magari si stava riferendo proprio alla sfida in corso, nella quale gli inglesi non brillavano certo per concretezza difensiva. Horribile dictu, l’emittente pubblica britannica chiese immediatamente scusa a tutti gli ascoltatori, sia mai che qualcuno poteva rimanere offeso. Da Hugh Grant non è poi arrivata alcuna rettifica nè un passi indietro (meglio di no, visto il contesto?). Tant’è, ha sollevato il solito vespaio, soprattutto nella comunità mondiale gay e anche tra alcuni commentatori della palla ovale, anche tra i nostri confini.
C’è da comprenderli. Il rugby è uno dei pochi sport dove gli atleti e non solo (l'arbitro Nigel Owens) hanno avuto il coraggio di fare coming out, al punto che la storia del gallese Gareth Thomas sarà ben presto immortalato in una pellicola cinematografica con Mickey Rourke nel ruolo di protagonista. Pare logico: dopo il duro Clint Eastwood alle prese col mito di Nelson Mandela, meglio dare una spruzzatina di rosa, sia pur peloso, all’intero contesto per scacciare lo spettro dell’omofobia. Sia mai!
È scorsa un sacco di acqua sotto i ponti sulla Senna da quando l’istrionico Max Guazzinì (con l'accento sulla ì e quella vaga aria da personaggio de Il Vizietto) ha inaugurato il filone dei calendari dei “Dieux du Stade”, rugbisti ignudi in posa, con in mostra tanti di quei muscoli guizzanti che occorre ripassare i manuali di anatomia per sapere se esistano proprio tutti per davvero. Basta digitare le magiche tre parole francesi su Google e si è invasi di immagini di machos depilatissimi che a stento coprono le zone pubiche. Il successo mediatico non si è fatto attendere, con gli ormoni del gentil sesso – in ogni senso – schizzati alle stelle. E se nell'Europa Continentale non è ancora del tutto "thumbs up" per le gentili signore/ine lasciarsi andare ad apprezzamenti pubblici su natiche e pettorali maschili (pubblici abbiamo detto, non tra di loro) o peggio appendersi il calendario nel cubicolo lavorativo o in cucina, lo stesso tabù non si applica certo alle "lei" nate "lui" più "aperte". Noi stessi, lo confessiamo, ne recuperammo ai tempi per pubblicare qualche anteprima da un sito molto queer. Ed è ancora oggi uno dei post più visitati di RR!
Si è accettato di tutto nel nome della "correttezza" su tale fronte. Anche che i fratelli Mauro e Mirco Bergamasco andassero ospiti al Chiambretti Night in una puntata dalla quale il rugby ne è uscito con le ossa rotte, perché infilato di forza nei cliché molto fashion e quindi molto gay friendly tipici della trasmissione. Mirco si è spogliato ancora onor di telecamera lo scorso dicembre, in compagnia di Fabio Ongaro e Andrea Lo Cicero durante una trasmissione per raccogliere fondi da investire nella lotta all’Aids: nobile intento, siamo convinti che ad alcuni/e dei/delle contributori/ici non gliene fregasse molto della ricerca scientifica con tutti quei pettorali in bella mostra ma tant'è. Nemmeno ai presenti, dato che se ne stavano tutti lì a ribadire tutti goduti, ma quanto saranno autoironici e spiritosi i rugbisti.
Stranamente invece, qualche settimana prima la solfa era diversa, si respirava aria di indignazione e protesta. Cos’era accaduto? La Federazione italiana aveva individuato in Melita Toniolo la madrina dei Test Match di novembre. Oddio, quella sciagurata fu fotografata con la maglia Azzurra dipinta sulle tettone, in slip e nient’altro. La Fir venne presa d’assalto su Facebook dai soliti reprobi, quelli che si vergognano sempre ma solo al posto degli altri, al grido “queste cose non si fanno”, “perché non le mamme dei piccoli rugbisti?”, “ma chi ha avuto quest’orribile idea?”. E avanti a giri su giri di correctness ; un altro caso di doppiopesismo, di incompreso anelito di "purezza" che sembra animare l'itagliano medio, purchè non si guardi alle sue di mutande? Possiamo dire, osiamo, ci sbilanciamo: per fortuna che in giro c’è ancora qualche Hugh Grant che osa affermare la dura verità: la corazzata Potemkin è una cagata pazzesca.
Intendiamoci: non siamo omofobi, i "gai" li abbiamo sempre visti e trattati istintivamente come concorrenza in meno, qualche volta addirittura come prezioso ausilio e consigliori, nei confronti della eterna lotta per la impossibile comprensione del gentil sesso, finalizzata ad utilitaristica "conquista" (ebbene si, ci dichiariamo orgogliosamente e titanicamente proni ai disegni perversi, finalistici e senza cuore di Madre Natura, noi). Domenico Dolce e soprattutto Stefano Gabbana ci stanno molto simpatici - tranne quando si fanno prendere dal sogno consumista di "far produrre" un figliolo tutto loro (ma questo è ben altro discorso, dannatamente più serio).
Non siamo nemmeno invidiosi di quei super atleti intenti a mettere in mostra l’armatura: fossimo rugbisti professionisti pure noi, ma per campare purtroppo facciamo altro. Tra l’altro, nell’ambiente girano certe battutine taglienti, del tipo che questi narcisi si mettano come mamma li ha fatti davanti allo specchio e gongolino nel valutare gli effetti dell’ultima sessione in palestra. Altri invece hanno confessato che non ce la facevano più a depilarsi regolarmente per essere i prescelti alla posa, ed è stato uno dei motivi che ha spinto qualcuno a lasciare lo Stade.
Se con gli anni, come tutti abbiam dovuto fare i conti con una scala di valori che si è modificata e con delle richieste inclusive prettamente mediatiche e "marketing oriented", ciò non toglie che ci sentiamo ancora dei "resistenti" in un mondo orientato alla "correttezza" ma non per questo meno crudele e spietato di prima, solo più ipocrita. Anche il rugby "resiste", come noi: ha dovuto fare gli stessi conti, riuscendo ad adeguarsi ma anche a conservare la sua essenza. Lo spirito cameratesco ne fa sicuramente parte, intendendo quello degli spogliatoi, dell'inno, della Haka o tra una birra e l’altra nel Terzo Tempo.
Quelli che ritraggono il rugby indulgendo al romanticismo tra fango, sacrificio, sudore, sangue e niente lacrime ma poi alzano il ditino per dissociarsi da certe uscite da puttanieri alla Hugh Grant ?! Invece, diranno, come tutti sanno, nell'antica Grecia e pure a Roma ... Occhio se, mentre lo declamano, con noncuranza caleranno la mano sulle vostre spalle.
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