A voler essere spietato con me stesso, non devo escludere che possa esserci un fondo d’invidia nell’indignazione che provo dinanzi alla sfacciataggine di chi riesce a farsi vanto pure di un fallimento: mi chiedo quanta di tanta disonestà intellettuale sia finalizzata a preservare un’autostima che in questo modo diventa a prova di tutto, e quanta a difendere una reputazione pubblica che quella stessa autostima non riesce a figurarsi altrimenti che lusinghiera, ma poi rinuncio a darmi una risposta, resta lo sdegno, nel quale non mi stanco di scrutare temendo – realmente temendo, giuro – che affiori un «ah, però, che forza, più invulnerabile ai rovesci della vita di quanto lo sia una blatta ai fallout nucleari!».






