Ahmadinejad ci riprova e torna per la terza volta in America Latina in poco più di cinque anni. Questa volta lo fa ampliando i termini della sua visita, non limitandosi al solo Venezuela, ma dirigendosi anche in Ecuador, Nicaragua e Cuba. Il viaggio si svolge proprio mentre Fereydoun Abbasi Davani –il responsabile del programma atomico iraniano- annuncia che il nuovo impianto nucleare di Fordom sarà presto in grado di arricchire uranio e nel bel mezzo delle polemiche per lo stretto di Hormuz. Insomma, non giunge proprio come un segno di distensione, ma agita ancora di più le acque, coinvolgendo anche l’America Latina nei giochi geopolitici internazionali.
Come nelle occasioni precedenti, la percezione che si ha in America Latina del mondo arabo è quella di una grande diffidenza. Ad alcuni fa paura, sgomenta, ad altri lascia indifferenti per la diversità di culture. Le incongruenze dell’Islam, con il suo estremismo radicale proveniente proprio dall’Iran (che da queste parti hanno generato gli attentati di Buenos Aires del 1992 e del 1994), sono lontane dalla cultura latinoamericana e, come tutto ciò che non si può comprendere, spaventano. È vero che ognuno è libero di cercarsi gli alleati che meglio crede, ma portare Mahmoud Ahmadinejad ed i suoi interessi in casa non è certo come invitare Gandhi o Mandela a un tè per parlare di filosofia.
In un’America Latina che sta affermando una propria identità questa amicizia, stimolata da Hugo Chávez, rischia di disegnare un mondo vecchio, fatto di schieramenti e di blocchi, di cortine di ferro e provocazioni. Di fatto, il presidente venezuelano se la ride perché ha ottenuto quello che voleva e cioè preoccupare gli Stati Uniti. I quali hanno risposto con l’espulsione della console venezuelana a Miami, Livia Acosta Noguera, con l’accusa di pianificare attacchi cibernetici alle centrali nucleari statunitensi con l’appoggio di agenti iraniani. Dopo l’incontro di oggi, Ahmadinejad e Chávez voleranno insieme a Managua, dove assisteranno alla cerimonia di giuramento di Daniel Ortega, che prenderà possesso di un nuovo mandato presidenziale, prevista per martedì.
In Nicaragua l’attesa è febbrile: Chávez è infatti visto come un eroe, non solo per il suo continuo atteggiamento di sfida verso gli Stati Uniti, ma per il sostanzioso aiuto che prodiga ai nicaraguensi, cooperazione valutata in almeno 500 milioni di dollari annuali. Differente, invece, la relazione che unisce Nicaragua ed Iran, che ha un significato quasi esclusivamente geopolitico. I prestiti offerti dall’Iran, infatti, non possono essere accettati per le regole imposte sia dalle leggi interne che dal Fondo monetario internazionale. L’unico effettivo segno della cooperazione iraniana è un Policlinico costruito a Managua, mentre nessun passo è stato effettuato per condonare il forte debito contratto negli anni passati dal Nicaragua (164 milioni di dollari) con la nazione araba.