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Meno male che vivo a Benevento. Altrimenti in questi periodi di calma piatta non saprei cosa scrivere. E, invece, la mia amabile città è sempre foriera di episodi ai confini della realtà.Facendo un breve riassunto delle puntate precedenti, dalle mie parti ormai è in vigore la raccolta differenziata porta a porta. No, non è la trasmissione. Ma sempre di spazzatura si tratta.In pratica siamo obbligati a differenziare i rifiuti (in verità io lo faccio da anni) e a deporli in orari e giorni prestabiliti, in base al genere, sotto il portone della nostra abitazione. Ognuno è dotato di un secchio privato per l'umido (con tanto di buste biodegradabili), di uno per l'indifferenziata, di una busta in tela o in plastica per la carta e di apposite buste per la plastica, l'alluminio e il multimateriale. Scusate la lungaggine della premessa, ma è necessario comprendere che a Benevento, con questo sistema, non esistono più i cassonetti. E, in effetti, tale stratagemma si è reso necessario per evitare l'accumulo indiscriminato di immondizia nei periodi di crisi (ringraziamo sentitamente la provincia napoletana) o quando certi lanzichenecchi piombano in città giusto per depositare i loro rifiuti al primo cassonetto di periferia.Insomma, a ognuno il suo personalissimo contenitore. In questa settimana in cui sono rimasta immobile a letto, ci ha pensato il mio amico B a provvedere alla mia spazzatura. Perché, se io ho la sindrome della crocerossina, lui ha quella di Amnesty International e, in pratica, si è quasi trasferito da me per dare conforto e aiuto.Da ieri, invece, ho ripreso il mio saliscendi quotidiano. Ma con colpo di scena.Quando sono tornata dall'ufficio, infatti, ho ripreso il mio contenitore e, sorpresa sopresa, dentro era pieno.No, non c'era la mia busta biodegradabile con tutti i suoi bei rifiuti organici. Ma i resti di una colazione alla buona consumata, evidentemente, sotto casa mia. Da qualche estraneo. Che non ha trovato di meglio da fare che aprire il mio secchio e riempirlo dei suoi rifiuti. Per carità, gesto civilissimo. Ma solo se confrontato al lancio del sacchetto dal balcone del quarto piano (sport, invero, praticato in alcuni quartieri partenopei e di cui sono stata più volte testimone... o forse dovrei dire giudice imparziale?).La morale della favola è che, non essendoci cassonetti né colpevoli a portata di mano e al di là di ogni ragionevole dubbio, ho portato il bottino a casa mia dove, munita di guanti, ho separato i resti del lauto pasto.Una bottiglia di birra (vetro), carta da salumeria appallottolata ma pulita (carta), mezzo panino mangiucchiato senza companatico (pure spreconi! Comunque... umido), alluminio appallottolato (plastica). Mi mancava qualcosa dell'indifferenziata per completare la collezione. Se pensate che capitino tutte a me, sappiate che la moda del "butta il rifiuto e scappa" si sta diffondendo in maniera preoccupante a Benevento.Qualche tempo fa il mio amico B trovò sotto la sede della sua associazione una enorme busta contenente grucce di ferro, copri-abiti di plastica e targhette di quelle che le lavanderie sono solite attaccare ai capi per identificare i proprietari (ancora una volta plastica, ferro e carta da differenziare... quasi una morra cinese). B, però, non ci ha pensato due volte e, munito di nstro adesivo, ha preso i rifiuti e, tutti e uno ad uno, li ha attaccati alla saracinesca della lavanderia di fronte, aspettando poi l'orario di apertura . Inutile dire che la proprietaria, capita l'antifona, ha riportato tutto dentro il negozio e l'episodio, da allora, non si è più verificato. Poi dite perché lui è il mio eroe!Articolo originale di Federica Rossi per Poco sex e niente city.
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