Ai miei amici con l'ansia da selfie.

Da Chronicles From The Holocene @holojay

Gregory Crewdson


"La vostra preoccupazione per ciò che gli altri pensano di voi scompare una volta che capite quando di rado vi pensino"
(David Foster Wallace, Infinite Jest)
Il selfie, o autoscatto, è probabilmente una delle parole più cliccate, citate e ripetute degli ultimi mesi. A me capita di leggerlo ovunque, e soprattutto, di vedere una quantità di selfie spropositata in giro. Potrebbe essere una delle mode del momento, a giudicare anche dalla nascita di applicazioni ad hoc per ritoccare i propri selfie, per sembrare più magri nelle foto -ebbene sì, chiamasi SkinneePix, disponibile solo per i fantastici possessori di iphone, ahimè- oppure per avere una pelle perfetta - Facetune ed altre, passando per il mai antico Instagram. Perché non dimentichiamoci di lui, del social da dove è partito tutto questo. Dove con dei filtri speciali puoi dare un nuovo aspetto ad una foto in apparenza banale. Perché forse è questo il punto: Instagram o in genere i vari social hanno instaurato questa logica per cui nessuno vuole apparire banale. Che poi si tratti di una parvenza di bellezza, e non di bellezza autentica, non importa a nessuno. Ce l'avrete anche voi l'amico smanioso di attenzioni che pubblica costantemente foto di sé o di quello che fa, senza un apparente motivo. Quello che è sempre in cima alla vostra Home di facebook non appena l'aprite. Quello che ha facebook, Instagram, Twitter, Pinterest, Spotify, e su ognuno di essi vuole i follower. Ovvero essere ammirato, essere SEGUITO; che vuole i mi piace sulle foto. Perché il mi piace crea dipendenza. E' come una droga gratis facilmente ottenibile. Sono abbastanza convinto che lo sia, intendo UNA DROGA, perché altrimenti non creerebbe un esercito di persone che pubblicano cose solo per essere guardate. Per essere notate. E vi dirò anche qual è il momento in cui riceviamo questa "dose" di autostima, di piacere gratuito. Succede tutto in quell'attimo di attesa spasmodica che intercorre tra quando premi il tasto PUBBLICA e quando la tua casellina delle notifiche diventa rossa e il numerino bianco inizia a salire. Un lungo attimo. Ed il numero DEVE salire. E' una tensione che porta al soddisfacimento di un desiderio intenso, che è quello del riconoscimento. Perché IO devo importare a qualcuno. Perché i miei amici dove sono? Dove, se non su facebook, per dirmi che per loro sono importante e dirmelo con i loro mi piace?
(Ho tralasciato volutamente chi usa Photoshop per modificare le proprie foto, perché per ovvi motivi dovrebbe discuterne con un terapista professionista).
Molti di noi vorrebbero essere migliori di quanto sono, più belli, più ricchi, più intelligenti. E questo è ancora comprensibile. Ma perché voler SEMBRARE e non ESSERE? Essere più belli è complicato, d'accordo, ma questo è un discorso più ampio. Funziona come una pubblicità: ovvero è indispensabile migliorare la percezione che gli altri hanno di noi. Vendersi. E questo si ottiene con i filtri, con le modifiche delle foto, con un commento spiritoso e anche con una presenza costante nell'attenzione di tutti. Perché il web, si sa, premia chi fornisce contenuti in maniera costante. Questa è la prima regola.
Quest'ossessione diventerà quindi prassi? Quest'ansia da selfie che spinge alcuni ad inondare la rete ed i propri amici virtuali di foto e testimonianze su qualcosa? Sulla propria quotidianità e sulla faccia che esibiamo in quell'istante? Questa, badate, non vuole essere una critica indiscriminata di chi condivide contenuti sui social e soprattutto di chi lo fa spontaneamente e con l'intenzione di far conoscere qualcosa, di mettere a parte qualcuno di qualcosa che ha visto, letto o sentito. Sto parlando solo di chi lo fa con l'intenzione, neanche troppo velata, di apparire, di chi crede indefessamente di dover postare un suo selfie al giorno per aggiornare qualcuno. E lo dico perché mi piacerebbe sapere cosa pensa, perché scatta un tale meccanismo nel suo cervello, se ha elaborato una motivazione per tutto ciò. Perché?
Io una risposta ce l'ho, e forse è sbagliata, perché mi sembra incongruente. Forse questa risposta è il nulla, lo stesso nulla che si espande lentamente nei nostri crani di scimmie incomprese.

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