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Speciale Sono Sion Ai no mukidashi (愛のむきだし, Love Exposure). Regia, soggetto e sceneggiatura: Sono Sion. Fotografia: Tanikawa Sōhei. Luci:Kaneko Yasuhiro. Scenografia:Matsuzuka Takashi. Montaggio: ItōJun’ichi. Musica: Harada Tomohide. Suono:Eguchi Yasushi. Effetti speciali:Baba Kaku. Interpreti e personaggi:Nishijima Takahiro (Yū), Matsushima Hikari (Yōko), Andō Sakura (Koike), AtsuroWatabe (Tetsu), Watanabe Makiko (Kaori), Shimizu Yutaka, Nagaoka Tasuku,Genkaku Yuko. Produzione: Kawai Shin’ya, Umekawa Haruo, Yokohama Toyoyuki eUmemura Munehiro per Omega Project. Durata: 237’. Uscita nelle sale giapponesi: 31 gennaio 2009.Link: Sito ufficiale - Trevor Johnston (British Film Institute) - Tim Wong (Lumiere.net.nz) - Raffaele Meale (cineclandestino.it) - Mark Schilling (Japan Times)PIA: Commenti: 4/5 All'uscita delle sale: 78/100
Punteggio ★★★★1/2
Con le sue quattro ore, Love Exposure è certamente il film piùampio, complesso e articolato di Sono Sion, una vera e propria summa della sua intera opera. Diviso,come spesso accade nel cinema del regista, in diversi capitoli, ognuno deiquali dedicato a un personaggio, più una parte conclusiva, il film ha tuttaviaal suo centro la figura di Yū, intorno a cui gli altri personaggi si dispongonocome satelliti, senza per questo essere privi di un loro spessore e di un lorocontraddittoria complessità. Yū è, o meglio sarebbe, un ragazzo per bene, chenon aspira ad altro che a una vita normale. Ma a incidere negativamente sul suoessere e la sua identità ci hanno pensato i genitori, entrambi oppressi da unafede religiosa fatta di intolleranza e fanatismo. Alla resa dei conti, l’agiredi Yū non è determinato da altro che dalla volontà di questi: quella dellamadre che lo ha spinto ossessivamente a cercare come compagna di vita una donnacome la Vergine Maria, e quella del padre che lo ha di fatto messo, in modoaltrettanto ossessivo, sulla via del peccato. La critica al fanatismoreligioso, a un certo modo di vivere il cattolicesimo, si estende, poi, almondo delle sette – qui la Zero Church di Koike – che si sonosempre più diffuse nel Giappone degli ultimi anni, costituendo una vera epropria piaga della società. In realtà, come molti altri film del registatestimoniano, la critica alla Chiesa cattolica e alle sette non va interpretatasolo in termini religiosi, ma come un’evidente metafora del fanatismo che dominaquella logica di gruppo imperante nellasocietà giapponese. Yū,la sua madonna Yōko e la sua carnefice Koike sono tre adolescenti che hanno incomune il fatto di pagare in prima persona le colpe dei loro genitori. Tutti etre sono, infatti, vittime, anche se in misura diversa, della violenza dei padri,spintasi addirittura, come nel caso di Yōko, allo stupro incestuoso. Così, lacrudeltà di Koike (che si vendicherà del padre spezzandogli letteralmente ilpene eretto in due) e l’odio per gli uomini di Yōko (che può amare Yu soloquando si traveste da sasori, un’eroina del cinema popolare giapponese) nonsono altro che le conseguenze esplicite dei soprusi subiti dai rispettivigenitori.Unaltro aspetto centrale di Love Exposureè quello concernente la sessualità. Una sessualità – spesso intesa come peccato– che assume diverse forme, dalle più abominevoli (lo stupro incestuoso) allepiù ludiche (l’arte del tōsatsu, lecontinue erezioni di Yū, quasi da scollacciata commedia erotica italiana),dalle più franche (la masturbazione femminile) alle più degenerate, ma ancheinoffensive (le confessioni dei pervertiti), dalle più blasfeme (Yū che pereccitarsi fotografa una statua della Madonna) alle più mercantili (l’industriadei video porno). Qui, come altrove nel cinema di Sono, il sesso e il modo divivere la sessualità, ossessivo quanto quello con cui è vissuta la religione, èdavvero all’insegna di un mondo teso fanaticamente al perseguimento di unpiacere del tutto fine a se stesso, che sembra non conoscere più limiti esprofondare così nel caos. Sempresul piano dei contenuti, un altro tema centrale di Love Exposure, è quello relativo all’identità, e alla suadimensione fluttuante, in particolare attraverso il gioco dei doppi e deitravestimenti, reali o immaginati che siano: Yū è Yū ma è anche Sasori; Yōkoappare più volte nelle vesti di una madonna; Koike, dal canto suo, si spacciaanche lei per Sasori. L’assunzione di panni altrui fa sì che gli altri perdanola possibilità di riconoscerti(Koikenon individua Yū, quando questi le appare nei panni di Sasori); e tu stessocorri davvero il rischio di diventare qualcun altro (quando Yū, vestito da prete,ascolta le confessioni dei pervertiti, ammette candidamente: «Ho finito colfare quel che mio padre faceva»; alla fine del film, poi, davvero Yū rischia diperdersi nell’identità immaginaria di Sasori,e solo grazie all’incontro con Yōko troverà la forza di gettare viacostume e parrucca e riaffermare la propria identità). Manon è solo attraverso i temi della fede religiosa e delle sette, del rapportofra padri e figli e delle fluttuazioni identitarie, del peccato e dellasessualità che Love Exposure puòconsiderarsi una summa del cinema di Sono. Il film è tale anche per le sceltedi articolazione narrativa e di soluzioni di linguaggio. L’uso della vocenarrante che materializza i pensieri dei protagonisti (e che in certi passaggidà vita a verie propri esempi di flussidi coscienza audiovisivi); la suddivisione dell’opera in capitoli;l’evidenziazione dello scorrere del tempo attraverso didascalie che indicano ilsempre più incalzante avvicinarsi del “miracolo” (ovvero dell’incontro di Yūcon la sua madonna); il ripetersi di fatti e situazioni (Koike che spezza ilpene del padre, Yōko che esce dal negozio di uniformi scolastiche, il primoincontro fra Yū e Yōko); i personaggi che si presentano direttamente allospettatore (come accade per Kōike e Yōko); la presenza in molte scene disilenti testimoni che osservano quanto accade (e che in più di un’occasione loriprendono e fotografano);il mescolarsidi rappresentazione oggettiva e di immagini soggettive (siano esse frutto dellavoro della memoria o di quello dell’immaginazione); la commistione di diversigeneri (dal melodramma alla commedia, dal film di arti marziali al cinemaerotico); l’uso insistito della macchina a mano, di obiettivi grandangolari ecarrellate ottiche, di esacerbati effetti di colore, di musiche occidentali chevanno ormai ben oltre lo stereotipo (qui il Bolerodi Ravel), nonché il gioco dei riferimenti al cinema e alla sua storia,soprattutto quello popolare (da Sasori al nunchakudi Bruce Lee), sono tutti elementi presenti nell’intera filmografia di Sono eche trovano qui alcuni dei loro esiti più compiuti. [Dario Tomasi]
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