Magazine Cultura

Aimee Bender: Cibo Amaro

Creato il 09 dicembre 2011 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il dicembre 9, 2011 | LETTERATURA | Autore: Claudia Santonocito

Aimee Bender: Cibo AmaroÈ lecito, dopo più di un secolo, ribaltare la celebre frase del filosofo Ludwig Feuerbach “noi siamo quello che mangiamo?”. La risposta è sì. E l’autrice di quest’atto increscioso quanto originale è la scrittrice americana Aimee Bender. Nel suo libro L’inconfondibile tristezza della torta al limone (minimum fax, 2011 – la traduzione è di Damiano Abeni e Moira Egan) capovolge il celebre aforisma, rivisitandolo in “noi siamo quello che cuciniamo”. Il titolo in sé porta a pensare a qualcosa di commestibile, e la copertina è irresistibile: su uno sfondo turchese spicca una bella fetta di torta glassata al limone. La trama del romanzo ruota infatti attorno al cibo, ma non immaginiamoci descrizioni di tavole imbandite o pasticcerie al glucosio, ma fette di torta al limone e cioccolato che sanno di tristezza, biscotti alla rabbia e peggio ancora roast beef all’adulterio. Questi sono solo alcuni degli esempi di quello che percepiscono le papille gustative della piccola protagonista Rose che alla vigilia del suo nono compleanno scopre di aver improvvisamente acquisito un dono – o meglio una maledizione -, quello di riuscire a sentire l’umore di chi ha preparato l’alimento che sta masticando. Comincia così per lei un calvario che la vedrà impegnata nell’accettazione di questo superpotere e nella ricerca degli escamotage per cercare di nutrirsi senza dover sputare tutto quello che mangia. Certo, se Rose vivesse in una felice famiglia americana da copertina, i piatti preparati sarebbero squisiti e potrebbe rimpinzarsi con gusto. Ma la realtà è ben diversa e imperfetta.

Aimee Bender: Cibo Amaro

Rose vive con una madre frustrata che è il ritratto della mamma-chioccia in piena adorazione del fratello maggiore, un padre – affetto da nosocomefobia – la cui vita dipende dalle liste di cose da fare segnate sui post-it e con il fratello maggiore Joseph, un nerd geniale con la mania di sparire nel nulla. Non manca la nonna un po’ svitata che manda fino alla sua morte pacchi contenenti mobili di casa e suppellettili varie e come da copione, George, il bellissimo migliore amico di Joseph di cui Rose è innamorata. In questo libro la Bender assembla una bella ricetta: sano realismo, tanta ironia, manciate di surreale, tristezza e solitudine quanto basta, il tutto condito da una bella spruzzata di amore che non guasta mai. Apparentemente leggero, il romanzo, attraverso la stravagante capacità della protagonista, porta inevitabilmente ad interrogarsi se quello che proviamo, i nostri sentimenti, possano effettivamente trasferirsi sulle vivande con cui ci sfamiamo. Rose attraverso ciò che mangia scopre i segreti della sua famiglia, alcuni dei quali davvero pesanti da digerire, quindi il cibo deve essere letto come una metafora, il mezzo per decifrare la realtà che non si palesa ai nostri occhi in maniera evidente. Se vogliamo proprio trovare il pelo nell’uovo, per usare un linguaggio culinario, possiamo solo rintracciare un calo di tono qua e là nella trama, soprattutto a metà, che si riprende però con un’impennata surreale subito dopo, per cuocere a fuoco lento verso un lieto fine un po’ scontato. L’inconfondibile tristezza della torta al limone è stato una piacevole scoperta, e sono certa che piacerà anche ai palati fini: rinnegare Feuerbach, forse, ne è valsa la pena!



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :