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Aiuto, è arrivato Montezuma!

Da Darioanelli @dalmessico
Aiuto, è arrivato Montezuma!
Se vivete in Messico, una o due infezioni intestinali all'anno dovete metterle in conto, almeno nei primi anni. Ai turisti si consiglia di fare attenzione a dove si mangia, di bere sempre da bottiglie chiuse, diffidare del ghiaccio dei cocktail, preferire snack confezionati ecc.
Certo se ti fermi in Messico una settimana e rimani fuori combattimento per quattro giorni la vacanza è rovinata, se però ci risiedi il discorso cambia; non puoi vivere costantemente incellofanato, devi uscire e prenderti qualche rischio come fanno le altre ottocentomila persone di Aguascalientes.
La triste storia ebbe inizio mercoledì scorso. Stavo scrivendo al computer quando mi sentii improvvisamente debole con le giunture doloranti, come quando si ha l'influenza.
Ben presto dovetti mettermi a letto scosso da brividi. La febbre mi salì a trentotto e così fui costretto a tenerla a bada con del paracetamolo.
La notte che seguì non fu una delle migliori della mia vita, proprio no. Brividi freddi si alternavano ad episodi di forte sudorazione, inoltre dovevo andare spesso al bagno.
Il pudore mi impedisce di descrivere ciò che successe là dentro, vi dico solo che ne uscivo scosso; non immaginavo di essere capace di tanto.
Giacevo in uno stato di dormiveglia malsano sognando di preparare lezioni di italiano e faticando come se lo stessi facendo sul serio.
La mattina dopo la situazione non era migliorata. Telefonai a scuola dichiarando il mio stato, poi mi rimisi a letto in un limbo che non era né veglia né sonno.
Intanto i pellegrinaggi al bagno si susseguivano con frequenza. Il pomeriggio decisi di andare a farmi vedere da un dottore. Probabilmente c'era bisogno di un antibiotico e, senza ricetta, non si possono comprare.
Mi infilai i pantaloni, i quali mi scivolarono lungo i fianchi e si afflosciandosi alle caviglie. Cos'era successo ai miei pantaloni? A loro nulla...
L'ambulatorio si trovava in centro, a circa mezz'ora di taxi da casa mia. Una volta uscito non avrei più avuto un bagno a portata di mano e mi sarei trovato nella zona più urbanizzata e affollata della città. 
Era solo questione di respirazione, mi dissi, e di concentrazione. Inspirai forte, uscii di casa e salii sul primo taxi.
L'ambulatorio era aperto, alla reception c'erano due graziose adolescenti al computer affaccendate a  controllare la propria pagina facebook. Mi dissero che il dottore era fuori città e che sarebbe tornato la prossima settimana.
“Grrrazie!”
A questo punto bisognava ragionare in fretta. Se aspettavo il ritorno del dottore, mi sarei consumato completamente trasformandomi in uno di quegli simpatici scheletri che si vedono qui nel giorno dei morti; dovevo cercarmi un altro ambulatorio, subito.
Ricordai che nel centro ci sono due farmacie che mettono a disposizione un medico gratuitamente per sfavorire la pratica dell'automedicazione, molto diffusa in Messico.
La passeggiata fu piuttosto stancante. Ogni tanto avevo voglia di fermarmi e sedermi sul marciapiede ma non si poteva, avrei attirato troppo l'attenzione su di me. Un poliziotto avrebbe avuto la sua occasione per fare il gradasso.
Finalmente arrivai alle farmacie; c'erano due ambulatori con minuscole sale d'attesa. In una incontrai una famigliola.  La madre aveva un'espressione tesa e preoccupata in contrasto con quella rilassata dei suoi cinque bambini che giocavano e gridavano allegramente.
Andai senza indugio nell'altra sala d'attesa, vuota.  Avanzai e varcai la porta dell'ambulatorio. 
Si trattava di un ambiente minuscolo un po' più grande di uno sgabuzzino. Vidi un lettuccio, una scrivania e, dietro la scrivania, il dottore.
Era un anziano, smilzo, con i capelli grigi e ondulati pettinati all'indietro e con i baffi ben curati. 
Portava un paio di pantaloni eleganti e una polo; lo stereotipo dell'uomo colto latino. 
Mi osservava.
Io, allora, goffamente chiusi la porta e sedetti di fronte a lui. Udivo una radio mal sintonizzata ad un volume forse eccessivo per lo spazio angusto dell'ambulatorio.
Il dottore ruppe il suo silenzio: “Cosa succede, giovane?” Gli spiegai i miei sintomi. Speravo avrebbe diagnosticato al volo un'infezione intestinale, prescrivendomi un antibiotico per darmi la possibilità di tornarmene velocemente a casa a recuperarmi. 
Mi sbagliavo.
“Uhm....” “Però dimmi di più, cos'hai mangiato?” “Ma...” dissi: “Ho mangiato a casa, verdura mi pare.” “Solo verdura?” Volle sapere “Hai mangiato bistecche? Hai mangiato Pollo? Hai mangiato Maiale?” “No, solo verdure.” Era vero. Mi ero fatto delle polpette vegetali e una teglia di verdure al forno.
Il dottore cadde in meditazione profonda. Poi continuò ad interrogarmi, con un piglio più deciso.
“E dopo cos'hai fatto? Cos'hai preso? Cos'hai mangiato?” “Un po' d'acqua, del tè, qualche biscotto.”
Allora mi spiegò che, in casi come questi, è importante idratarsi bene e bisogna farlo preparandosi una soluzione fisiologica costituita da un litro di acqua, due cucchiai di zucchero e un pizzico di sale.
“E con questo mi recupero?” Domandai. Mi sembrava una cura deboluccia, per contrastare una colonia di batteri che stava proliferando allegramente.
“Sì.” Rispose il dottore. Poi si sentì in dovere di parlarmi un po' di lui. Con calma estrasse il portafogli e mi porse il suo biglietto da visita. “E' il mio biglietto da visita.” Mi disse.
Improvvisamente qualcosa si mosse dentro di me e non era precisamente un bebè che tirava calcetti, nello stesso momento una goccia di sudore mi scivolò giù da una tempia.
“Cinquant'anni di professione”. Disse con orgoglio. “Sono dottore e chirurgo.” Lessi sul biglietto: 
“Medicina Generale e famigliare, Gastroenterologia, Colon, retto, Ano, Obesità in tutte le sue forme.”
“E tu che cosa fai? Perché sei qui ad Aguascalientes? Sei in vacanza?” “No, sono un maestro di italiano, lavoro all'università.” “Io sono uno dei fondatori dell'università.” Gli occhi del dottore presero distanza da me e si persero nei ricordi. “Ho formato ventotto generazioni di dottori.”
Mi mossi sulla sedia per cercare una posizione più comoda. 
“Ho preparato dottori di cui ne vado fiero e di altri no.” “E' inevitabile”. Commentai. “E adesso sai che faccio?” Scossi la testa. “Adesso faccio volontariato. A questa età bisogna tramandare l'esperienza. Questo è un paese che ha sete di conoscenza. E' l'ignoranza che ci tiene legati al fondo.”
Annuii ammirato. Poi mi girai di centottanta gradi. Alle mie spalle nulla indicava l'esistenza di un bagno, maledizione.
“Quindi giovane, ti idrati, mangi leggero per tre giorni e prendi questo antibiotico che adesso ti prescrivo.”
“Grazie, dottore.” Mi alzai e gli diedi la mano. Attinsi una manciata di energia cosmica ed andai alla farmacia a comprarmi la medicina.
Mezz'ora dopo ero a casa, senza incidenti. Il giorno dopo a lavorare. Feci lezione tenendomi i pantaloni con la mano ma il peggio era passato.

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