Magazine Cinema
Aka X Pinku ( 赤×ピンク, Girl’s Blood). Regia: Sakamoto Kōichi. Soggetto: da un romanzo di Sakuraba Kazuki. Fotografia: Momose Shu. Scenografia: Maruo Tomoyuki, Okihara Masazumi. Montaggio: Sunaga Hiroshi. Musica: Ando Yoshifumi. Interpreti e personaggi : Haga Yuria (Satsuki), Koike Rina (Mayu), Tada Asami (Chinatsu), Ayame Misako (Miko) Yamaguchi Yoshiyuki (il gestore del fight club), Sasaki Hideo (il marito di Chinatsu), Takahisa Maeyama (lo spasimante di Mayu). Produzione: The Fool, Girl’s Blood Production, Kadokawa, Pony Canion. Prima proiezione in Giappone: 22 febbraio 2014. Durata: 118’.
Link: Sito ufficiale - Quinlan
Punteggio ★★
Ambientato in una sorta di Fight Club tutto al femminile, locato in una ex scuola di Roppongi, Aka X Pinku è un esempio di sexploitation alla giapponese, così come tale tendenza si realizza nel mondo dei manga, degli anime e, come qui, dei film dal vero. Un elemento chiave di tale “genere” è la sua esplicita logica attrazionale – oggi la possiamo definire postmoderna – che passa attraverso la presenza di scena pirotecniche che hanno come finalità primaria quello di immergere la spettatore in una storta di “bagno di sensazioni” dal carattere particolarmente “forte”. In questa direzione vanno le frequenti scene di combattimento delle lottatrici – comprese ovviamente quelle un po’ datate nel fango – con i loro variopinti costumi che attingono alla tradizione della contemporanea cultura pop giapponese e no (la dominatrice, la lolita, l’infermiera, la poliziotta e chi più ne ha più ne metta). La valenza erotica di queste scene è poi ripresa da numerose altre situazioni esplicitamente sessuali in cui le protagoniste liberano i loro desideri saffici, pur nell’ambito, in qualche modo rassicurante, di prestabilite relazioni sentimentali (scene in cui l’uso delle dissolvenze incrociate vorrebbe introdurre una dimensione estetica che in realtà appartiene ai più triti stereotipi visivi del cinema soft-core).
Nonostante poi il film cerchi di approdare a una certa dignità testuale sul piano della costruzione dei personaggi e delle loro relazioni, anche in tali ambiti lo stereotipo è dietro l’angolo, come testimoniano i flash back, più o meno onirici, che spiegano e giustificano la spregiudicatezza sessuale delle protagoniste attraverso traumi legati all’infanzia o all’adolescenza: è il caso di Satsuki, svegliata a sorpresa dalle urla della madre mentre si masturba nel sonno, di Mayu, che vuole esibirsi all’interno di una gabbia perché a lungo costretta nel box da una madre che non voleva la figlia crescesse, e di Miko, colpevole di aver ceduto alle avances sessuali del patrigno e alle sue tendenze sado-maso. Gli stessi limiti si ritrovano nel gioco della costituzione delle coppie, troppo ancorato a una logica di manichee contrapposizioni secondo le quali la “bambina”, Mayu, non può che innamorarsi della dominatrice, Miko, e la sensuale Chinatsu dell’asessuata Satsuki.
Nonostante questi limiti, che tuttavia fanno di Aka X Pinku un rilevante esempio di un certo fenomeno di costume, un oggetto in grado di rilevare determinate tendenze dell’immaginario sessuale contemporaneo, il film ha anche una sua gradevolezza narrativa e piacevolezza visiva , che riescono a salvarlo dal totale anonimato (di genere). [Dario Tomasi]
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