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Al bar

Creato il 23 giugno 2015 da Malvino
Più che un bar sembra un convivio di saggi, almeno la prima impressione che dà è quella. L’insegna, d’altronde, reca il titolo di un’opera di Platone: la Repubblica. Entro, mi siedo a un tavolino e, mentre aspetto che il cameriere venga a prendere l’ordinazione, non posso fare a meno di prestare attenzione a quel che dice un tizio seduto poco distante. È sull’ottantina, secco come un eremita, ed è attorniato da una mezza dozzina di signori dall’aspetto assai distinto che lo ascoltano – mi pare – con reverenza. «Che senso ha – dice – il viaggio e il lungo soggiorno nello spazio di Samantha Cristoforetti? Domandiamoci perché l’abbia voluto affrontare: forse per provare a se stessa e al mondo il proprio sprezzo del pericolo e in specie la sua vittoria, che a me appare per l’eccesso di paura che mi ispira, sulla claustrofobia? Camminare fuori gravità sostenuta da un vuoto immenso, sarebbe una superiore aggiunta di libertà o una vertigine vasocostrittiva da perderci la circolazione e la ragione? L’allenamento astronautico da Marine, l’arsenale sedativo e nutritivo chimico dell’equipaggio, sono sufficienti a persuadere che non avere la terra sotto i piedi è bello?» Confesso che lì per lì resto confuso. Il tizio parla e non vola una mosca. Stanno ad ascoltarlo col massimo rispetto, pare, e cè perfino chi ha un lento ciondolar del capo che sembra un annuire. E tuttavia, per quanti sforzi faccia, non riesco a capire che cazzo stia a dire. Cioè, a capirlo, lo capisco, ma mi sembra una scatarrata di stronzate. E però tengo a freno limpressione, direi quasi che mimpongo di rimuoverla, e per un po’ – devo dire – ci riesco. Sarà quella sua chioma candida, quella parlata lenta, meditata... Sarà pure che tutti stanno a sentirlo come se non volessero perdersi una sola sillaba. Insomma, do per scontato che sia persona autorevole, può darsi stia imbastendo la sua riflessione sul filo del paradosso, dell’ironia, va’ a capire, in fondo non sono del posto... Poi confesso che a farmi trattenere un giudizio negativo c’è quel tale che dietro il bancone asciuga un bicchiere dopo l’altro con un lembo del suo grembiule. Dev’essere il titolare, ha un sorriso di soddisfazione stampato in faccia come a dire: «E dove lo trovate, un bar come il mio? Mica ci limitiamo a servire drink e cappuccini: questo è un cenacolo di dotti». Insomma, è brutto dirlo, ma resto un poco intimidito, e non riesco a far altro che continuare ad ascoltare. «Di fisiologia ginecologica – continua il tizio, e qui solleva un dito in aria, alzando un poco il tono della voce – la sfidante intrepida non avrà certamente avuto più nessuna traccia, fin, credo dalla base, come in un evento patologico. Non so, ma quella ragazza sorridente, ormai obbligata a vita alla stranezza del suo record femminile di vacanza extragravitazionale, mi fa molta pena. Per un’analisi freudiana si potrà interpretare una donna fluttuante fuori gravità come desiderio soddisfatto di un rapporto incestuoso col padre, senza nozze tragiche, senza esplicazione, irrorazione e amorosa redenzione scenica. Qualcosa di molto simile alla violenza a cui soggiace e a cui consente, nel romanzo Adelphi di cui sono autore “In un amore felice” la protagonista dalla doppia vita Ada dove il Padre esoterico e simbolico evocato emana il proprio sé dagli Elohim, remote vestigia veterotestamentarie». Qui, devo dire, unonda di fastidio spazza via ogni riserva: o è pazzo, questo vecchio, o è ubriaco; e ubriachi devono essere pure quanti lo ascoltano senza dire una parola, o sono pazzi pure loro. Perché Samantha Cristoforetti va nello spazio? Per sballare, più o meno. Eventualmente per cercare di vincere qualche sua vecchia tara psicologica. Che pena, poverina. Chissà, le saranno saltate pure le mestruazioni. Per cosa, poi? Per sublimare nellimpresa astronautica un desiderio incestuoso. E tutti ad ascoltare, senza fiatare, uno capace di sparare tutta in una volta questa sventagliata di stronzate? Se un po mi conoscete, sapete che dinanzi a roba del genere io non so stare zitto. E infatti sto per intromettermi, quando in piedi, davanti al tavolino, mi si para il tipo che prima era dietro il bancone, e mi fa: «Cosa le possiamo servire?». Ordino un succo di pomodoro e un piattino di olive. Intanto ho perso lattimo e mi rimetto ad ascoltare: «Le imprese spaziali – dice il vecchio – non sono portatrici di luce: chiamarle scientifiche è estenderle oltre le mura umane, e sgomenta la veemenza del loro urto con l’ambiente, che dura dai primi Sputnik e Apolli in cui sempre più incollati gli uni agli altri tentiamo di sopravvivere ai maleodoranti purgatori politici. La Civitas Dei non è più una speranza, la città umana si va trasformando sempre più in un mostro. La nave spaziale è inabitabile, le fughe sui pianeti impossibili. Dateci sogni, sogni, sogni…» Un pazzo fottuto, non cè dubbio. Mè passata pure la voglia di dirgliene due: cosa vuoi dire a uno che in testa deve averci tanti buchi quanti ne ha una forma di Emmental? Ma ecco il vassoio col mio succo di pomodoro. «Grande, eh?», mi fa il tipo col grembiule. «Sta scherzando?», chiedo. Mauro – ha una targhetta col quel nome appuntata in petto, non deve essere il titolare, probabilmente è solo un cameriere – si fa livido in volto e mi fa: «Sarà lei a voler scherzare. Ma lei sa chi è quello?». «A me è parso uno di quegli imbecilli di cui parlava Umberto Eco la settimana scorsa, uno di quelli che un tempo, dopo averne bevuto uno di troppo, si lasciavano andare a invereconde scempiaggini. Ho pensato: “Non ci sono più i bar di una volta. Una volta, un tizio così lavrebbero zittito subito. Ora i bar somigliano ai social network, dove puoi scrivere anche le più mastodontiche cazzate senza che nessuno...». «Ma per piacere – mi interrompe Mauro – non bestemmi: quello era Ceronetti, un Premio Nobel o giù di lì».
[in corsivo: Guido Ceronetti, Samantha, lo spazio e il signor Freud (la Repubblica, 21.6.2015 - pag. 50)]

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