REGIA: Andrew NiccolSCENEGGIATURA: Andrew NiccolATTORI: Justin Timberlake, Amanda Seyfried, Alex Pettyfer, Olivia Wilde
Darne una definizione universalmente accettabile o comunque contenente ogni sua singola caratteristica, non è impresa da poco. Proviamo però a spiegarlo, sperando di evitare parzialità.Mi piace pensare al tempo come fosse un libro dalle pagine immacolate su cui scrivere ogni giorno, secondo una struttura complessiva ben precisa fatta di introduzione, drammaturgia, acme, conclusione. In alcuni punti la narrazione scorre ad un ritmo estremamente veloce ed avvincente, in altri, invece, piuttosto lento, noioso oserei dire. Alcuni libri partono con un numero di pagine da riempire maggiore rispetto ad altri, più limitati, invece, brevi, alle volte meno intensi.In alcuni tratti l'inchiostro è di un nero ben marcato, in altri, invece, sbiadito, tendente al grigio.Alcuni soggetti hanno a propria disposizione una quantità di tempo (e quindi di pagine) estremamente alta: penso alle unità statuali, alle società piuttosto che ai frutti dell'ingegno umano come opere d'arte o creazioni architettoniche. Altri, purtroppo, dispongono di quantità limitate, prodotti a breve scadenza oserei dire, come gli esseri viventi.Il tempo, quindi, è tutto fuorché democratico. Non ce n'è mai in abbondanza per tutti: spesso la conclusione del libro arriva troppo presto, stroncando il climax e lasciandoci un fastidioso sapore amaro in bocca, altre volte invece, si prolunga in una lenta ed estenuante agonia. In alcuni casi non è possibile nemmeno rintracciare la struttura del libro stesso in quanto subito dopo l'introduzione arriva la conclusione.La percezione del tempo ed il suo utilizzo è argomento a sé, troppo lungo da approfondire qui, ma unica caratteristica veramente democratica del suddetto: ognuno può impiegare il suo tempo come meglio crede. Può riempirlo di routine, di novità, di azione, di avventura o della sicurezza di una vita senza tanti alti e bassi. La scelta sta nel singolo.Sta di fatto che il tempo rimane storia e vita, nell'immediato del nostro presente. È il limitato sommarsi di secondi riempiti da azioni che portiamo avanti nella nostra quotidianità. Lavoro, studio, leggo, mi diverto, amo, ballo, mangio, dormo: tutto trova una sua collocazione precisa nel nostro presente, dandogli significato, o forse soltanto forma.
In primo luogo la concezione di tempo che “In time” ci propina, non è altro che un modo differente di riferirsi al denaro. Mi spiego: la società crudele e distopica creata da Andrew Niccol, basa ogni transazione economica sul tempo. Hai bisogno di spostarti da casa tua al tuo posto di lavoro attraverso un autobus? Perfetto, sono 2 ore. Vuoi comprare una casa ma non hai risorse sufficienti? Nessun problema, puoi rivolgerti alle banche del tempo e chiedere in prestito un decennio (o forse due), ripagabile attraverso comode rate mensili con un ricarico pari al tasso di interesse deciso dalla banca stessa. Paparino non è un multimiliardario e questo ti costringe a lavorare per vivere? Beh, inizia a correre. Non vorrei che, a due passi da casa, il tuo orologio digitale incorporato al braccio, segnasse una serie infinita di zeri e tu ti spegnessi, morto, andato senza nessuna possibilità d'appello.
la locandina di Tempi Moderni
Il collegamento tempo-denaro, tanto caro soprattutto alla società capitalista, può essere una base estremamente attraente ma soprattutto attuale e, per questo interessante, se analizzata in modo preciso ed attento. Dopotutto, in tanti si sono occupati di questo argomento (ergo, l'ispirazione abbonda!). Non so, penso all'operaio estraniato di Marx, colui che perde la propria identità diventando macchina al servizio del padrone capitalista. Ma penso anche ad un cult cinematografico come Tempi Moderni di Chaplin: la catena di montaggio che rende gli uomini macchine, il tempo come mera possibilità di accumulare denaro creando un vantaggio competitivo, aumentando la produzione, riducendo le spese, incrementando in guadagno a scapito dell'operaio che deve lavorare per vivere.Nulla di tutto ciò appare in In time, relegandolo alla categoria di "solito film americano" con due bellissimi protagonisti (su cui nutro seri dubbi dal punto di vista della capacità attoriale), un moderno Robin Hood che ruba (non denaro ma tempo) ai ricchi per darlo ai poveri e che, nel frattempo, si diverte con la sua amante.Nemmeno la possibilità di dare un minimo di credibilità aggiuntiva a questo film, attraverso una spiegazione anche minima delle radici di questa società distopica, del passaggio dalla normalità dei nostri giorni ad un mondo in cui le persone vivono con un orologio digitale fosforescente sul braccio, è stata sfruttata. E' una condizione di cui dobbiamo prendere atto senza comprendere la sua formazione, il perché alla base di tutto ciò e senza nemmeno capire se il collasso di una società simile ed il ritorno ad una più o meno "normale" sia possibile (si può distruggere il capitalismo temporale? risposta: non ne ho idea).
Parlando dei protagonisti, Will Salas (Justin Timberlake) e Sylvia Weis (Amanda Seyfried) la cosa che ho apprezzato maggiormente è il taglio di capelli della Seyfried (mi ricordava tantissimo Uma Thurman in Pulp Fiction). Insomma sicuramente non due interpretazioni da Oscar.eccolo il taglio in questione
Mah, che dire: se proprio non sapete dove buttare gli 8 euro dell'ingresso al cinema, consiglio a) beneficenza b) donazione alla Fenicetta c) un bel libro!
Voto: 0
PS: due gentilissime blogger, Cecilia di Blue Moon e Rowan di Ombre Angeliche mi hanno ospitato sui rispettivi blog per un'intervista!! Grazie mille ragazze (potrete accedere alle loro pagine web attraverso i link!)