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(al cinema ) Recensione: SARÀ IL MIO TIPO? Brutto titolo, bel film

Creato il 07 maggio 2015 da Luigilocatelli

32316911194425_1123984177628442_1489335184229906420_oSarà il mio tipo? (e altri discorsi sull’amore). Un film di Lucas Belvaux. Con Emilie Dequenne, Loïc Corbery, Sandra Nkaké. Distribuito da Satine Film.
315083Non lasciatevi fuorviare dal titolo: questo è un film da vedere. Parte come una romantic comedy, diventa la cronaca glaciale di un amore impossibile. Perché a Clément, giovane professore di filosofia assai chic, e alla parucchiera Jennifer non basta la chimica dell’attrazione per superare le differenze sociali. Voto 8
332211Nascosto dietro un titolo di imbarazzante sciampismo c’è un film da non perdere, una delle sorprese vere di questo pezzo di stagione cinematografica. Autore belga con un curriculum di rispetto anche se mai arrivati ai fasti massimi, ambienti di una Francia nordica fredda e austera alla Desplechin, un attor giovane della Comédie française e un’attrice inventata dai Dardenne. Un film che parte nei modi di una convenzionale romantic comedy per rovesciare le regole del genere – happy ending in primis – e trasformarsi nella più crudele e asimentale cronaca di un amore che il cinema ci abbia dato da un bel po’ di tempo in qua. Dove si registrano tutte le ambiguità, e l’inevitabile scacco, di una liaison che vorrebbe superare il divario di classe tra i due protagonisti ma non ce la fa, non può farcela, e finisce con l’arrendersi alle eterne leggi che tracciano e stabiliscono implacabilmente differenze e distanze sociali. Mésalliance, li si chiamava nei feuilleton e nei salotti borghesi gli amori asimmetrici, i matrimoni con una lei o un lui di classe sociale inferiore, alludendo a una mescolanza impropria, a un tabù infranto e dunque da punire (al riguardo, son sempre istruttive certe pagine di Proust). Mésaillance è quella di Sarà il mio tipo?, dove il sofisticato professore di filosofia Clément (specializzato in pnsiero e pensatori dei climi freddi nord europei) si innamora – ma forse non è esattamente quella cosa che chiamiamo amore – di una parrucchiera. Succede quando dall’adorata Parigi lo mandano per un anno in una scuola di Arras, trasferimento da lui vissuto come una deportazione in una provincia bella sì, ma abissalmente noiosa, plumbea e qualunque. Una sera va a tagliarsi i capelli, ed è lì, nel salon, che incontra Jennifer. La corteggerà garbatamente – da quel signorino che è -, lei nicchia, ci mette un bel po’ a dire di sì, ma lo dirà, inevitabilmente. Cortocircuito di due caratteri che sono anche antropologicamente opposti. Lui con quel retroterra intello-chic da meglio élite parigina, lei con quei gusti pop, anche se mai beceri, come la passione per il karaoke, e i riferimenti subculturali delle nuove masse d’Occidente (e un’adorazione per Jennifer Aniston, “quella lasciata da Brad Pitt”, che il fine Clément manco conosce). La differenza sociale è però, come già raccontato in infinite narrazioni (leterarie, cinematigrafiche), non solo un ostacolo, ma anche un potente motore d’attrazione, la necessaria polarità perché scattino il desiderio e la chimica del sesso. Clément, catturato dalla (presunta) istintualità di Jennifer, e Jennifer dai modi urbani e iper civilizzati di Clément, e forse dalla prospettiva di un riscatto sociale. Ma non basta. Lui in realtà si vergogna di lei, la tiene lontana da famiglia e amici, lei se ne renderà conto quando, a una festa popolare, incontreranno per caso dei colleghi di Clément e lui si guarderà bene dal presentarla. E sarà Jennifer, umiliata, a decidere per tutti e due. Una storia atroce, pur se nascosta dietro alle buone maniere del racconto borghese. Lucas Belvaux si tiene lontano dai toni survoltati ed estremi del melodramma fiammeggiante, tra il sussurro e l’urlo sceglie il primo, mantenendo il film, soprattutto nella parte iniziale, a una temperatura volutamente bassa che rasenta il gelo. Osserva, descrive, registra implacabilmente, una tappa dopo l’altra, l’evoluzione-involuzione di un amore che è strutturalmente impossibile, geneticamente fallato, e che la buona volontà dei suoi due attori non basta a salvare. L’ultima scena è una scudisciata che lacera ogni nostra romantica illusione. Tra i molti meriti del regista, il rispetto con il quale si avvicina a Jennifer e al suo mondo, al suo pensiero popolare ma non semplifcato né povero, alla sua dignità pur nei modi della sciampista che è. Personaggio che cresce man mano e si appropria del film, finendo con l’oscurare inevitabilmente quello di Clément. Merito anche – soprattutto? – di Emilie Dequenne che costruisce la sua Jennifer senza mai deviarla verso il kitsch, e con un’intensità commovente, perfino straziante. Non per niente era la memorabile Rosetta dei Dardenne. Adesso, a tanti anni di distanza da quel grande film, mostra di essere un’attrice in grado come poche di intercettare sensibilità, fragilità e sconfitte del nuovo popolo-massa. Come peraltro aveva già dimostrato tre anni fa, quale tragica madre-Medea, nell’inquietante e torbido A perdre la raison/Our Children del belga Joaquim Lafosse, visto a Un certain regard a Cannes e mai arrivato in Italia


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