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(al cinema) Recensione: THE LESSON. Dalla Bulgaria un film-rivelazione. Da non perdere

Creato il 20 marzo 2016 da Luigilocatelli

999x562_movie12893stillsthe_lesson-1999x562_movie12893stillsthe_lesson-2The Lesson – Scuola di vita (Urok), un film di Kristina Grozeva e Petar Valchanov. Con Margita Gosheva, Ivan Barnev, Ivanka Bratoeva, Stefan Denolyubov, Ivan Savov. Bulgaria 2014. Al cinema da giovedì 18 marzo.
457961In una plumbea e polverosa Bulgaria, i dolori e la passione della giovane insegnante di inglese Nadezhda. Irreprensibile, integerrima, pronta a sferzare la sua classe quando a scuola ci sarà un furto. Fino a quando dovrà lei stessa sperimentare quanto sia sfumata la linea d’ombra tra bene e male. Un film asciutto, austero, che guarda ai Dardenne ma anche a Haneke e Lanthimos e alla loro implacabilità. Un racconto morale. Uno dei migliori esordi degli ultimi anni. Premiato in parecchi festival, e finalmente nei nostri cinema. Imperdibile. Voto 8
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i due registi

i due registi Kristina Grozeva e Petar Valchanov

Un film povero ma bello, e importante, da un paese non proprio al centro del sistema cinema e dei suoi poteri forti come la Bulgaria. Un pezzo di Europa orientale, balcanica, già satellite dell’Unione Sovietica, di cui continuiamo a sapere molto poco, da cui ci arrivano scarne notizie, anche dopo il suo ingresso e assestamento in un’Unione europea peraltro sempre più disunita e sconnessa, rancorosa e litigiosa al proprio interno come nei confronti di chi sta fuori. Un film che, nella sua sobrietà e asciuttezza, nel suo neo-neorealismo di derivazione dardenniana (i due belgi sono il riferimento dichiarato della coppia registica responsabile di The Lesson), restituisce al massimo grado tutta la desolazione di un paese che ci sta vicino continuando a essere lontano, remoto, fuori dai nostri sguardi e dai nostri radar di euroccidentali. Ah signora mia i Balcani! e poi, questi Balcani che neanche guardano verso l’Adriatico e verso di noi ma dall’altra parte, verso il cuperrimo Mar Nero che già il nome, e sospesi tra slavismo e segni più o meno evidenti della vecchia dominazione ottomana e islamica, con quello squallore polveroso di chi è stata nel secondo Novecento colonia del russocomunismo. Ecco, The Lesson restituisce mirabilmente quel mondo soffocato, quegli orizzonti chiusi e quei cieli sempre di piombo anche quando fa bello, e un’umanità come intrappolata, senza prospettive, incastrata in un spirale di progressivo impoverimento e perdita materiale e economica, e morale. The Lesson, in originale Urok, si svolge in un villaggio, in una landa bulgara rurale di gente affannata a sopravvivere e salvare la dignità, mentre intorno tutto sembra corrodersi, degradarsi, in una economia di mercato importato in cui non ce la fa mai a accendersi la scintilla di ogni pur minimo sviluppo. I segni del consumismo, certo, ma anche quelli di un grigiore e di una povertà che paiono eterni e irrimediabili. La forza di questo film sta anche, forse soprattutto, nel suo essere così pienamente bulgaro, nel portare in sé i lividi e le lacerazioni dell’Io collettivo nazionale, nel riflettere l’antropologia, il carattere profondo, del proprio paese. In ogni momento, in ogni passaggio del racconto hai la sensazione che i personaggi non possano che muoversi in quei paesaggi, che la storia non possa che svolgersi là tra quelle strade malandate, in quelle case modeste. E come spesso succede al cinema ma non solo, è la profonda identità nazionale e locale ad aver reso The Lesson – e il paradosso è solo apparente – prodotto universalmente comprensibile e esportabile, come dimostra il suo cursus honorum davvero impressionante. Con un tour per festival cominciato a Toronto 2014 e proseguito per San Sebastian e una miriade di altre rassegne in tutto il mondo, da Istanbul a Tokyo, ramazzando un premio via l’altro. Fino a entrare tra i tre finalisti del premio Lux assegnato dal parlamento europeo (poi vinto dal turco-francese Mustang) e a essere nominato dalla Bulgaria come proprio rapresentante per l’Oscar al film in lingua straniera. Eccolo finalmente nei nostri cinema grazie a I Wonder Pictures, ed è occasione da non lasciarsi scappare. Racconto morale e esemplare come sempre di meno capita al cinema, riflessione amarissima e però oggettiva, distanziata, su quanto fragile sia la separazione tra la pratica del bene e del male, e su come le nostre vite siano sì indirizzate dai valori astratti, ma poi condizionati dalle condizioni materiali, The Lesson ruota intorno alla sua protagonista Nadezhda, pedinandola nei suoi difficili e tristissimi giorni laggiù, in una piccola città bulgara. Nadezhda, nella versione italiana Nadia, è una giovane donna severa, insegnante di inglese in quella che sembra una scuola media, ed è un’ottima insegnante, anche se probabilmente non così popolare e amata per via della sua inflessibilità. Sembra una vita qualunque, sembrano giorni qualunque, finché qualcosa sopraggiunge a far deragliare quella, benché plumbea, normalità. Qualcuno ha rubato dei soldi in classe, uno degli studenti, ma chi? Per Nadezhda è l’occasione di una lezione su cosa sia giusto e ingiusto, sull’onestà e la coerenza, sulla necessità di ripristinare la virtù e l’onestà come valori fondanti di ogni possibile convivenza. E il colpevole deve essere individuato, perché ordine e armonia tornino a regnare. Quel furto innescherà invece la progressiva andata in crisi dello stesso mondo della giovane e integerrima professoressa di inglese, fino a frantumarlo. Vedremo Nadezhda/Nadia alle prese con il difficile menage familiare, un marito fancazzista e una figlia completamente a suo carico. Scoprirà che il marito si è indebitato irrimediabilmente e che le banche le stanno portando via la la casa. Bisogna trovare subito i soldi, parecchi, per non essere buttati fuori. Comincia la corsa affannosa di Nadezhda, l’umiliante processione da chi potrebbe aiutarla. La banca. Il padre assai benestante che lei non vede più da anni, da quando ha tradito la memoria della moglie morta per mettersi con donne di dubbia reputazione, dissipando onore e denaro. Nadezhda incautamente si metterà nelle mani di uno strozzino abominevole (lì lo chiamano, se ricordo bene, lo zingaro, come in un romanzo criminale, come in una suburra delle nostre) e, per uscire dalla trappola, sarà costretta a una scelta fatale. Nel giro di pochi giorni assistiamo alla sua distruzione. Se ne va la sua integrità, crolla la sua stessa identità di donne perbene, si dissolve il legame fiduciario tra lei e i suoi familiari. I due registi dal nome difficile, Kristina Grozeva e Petar Valchanov, trentenni al loro primo e già maturo lungometraggio dopo una serie di corti che bene avevano figurato in più festival, raccontano con impassibilità e insieme partecipazioni i dolori e la passione della loro protagonista, con una tempra da autori consumati e già perfettamente padroni di un proprio stile, già in grado di lasciare un’impronta personale e riconoscibile su ogni inquadratura. La parabola della discesa di Nadezhda ricorda quella del pasoliniano Accattone, anche se qui siamo in ambienti piccoloborghesi e non lumoenproletari che del decoro han fatto il proprio tratto distintivo e fors’anche la propria ossessione. Esito importante, che potrebbe siglare la nascita di due nomi grossi del nuovo cinema europeo, anche se naturalmente bisognerà aspettare le prossime mosse di Grozeva e Valchanov. Che hanno il coraggio di un cinema senza concessioni, aspro, che guarda sì ai Dardenne, ma anche alla glacialità della scuola austriaca di Haneke e Seidl, e all’implacabile cinema greco dei Lanthimos e Avranas. Se The Lesson si costituisce come uno dei migliori esordi degli ultimi tempi il merito è anche della sua interprete Margita Gosheva, in scena dalla prima all’ultima inquadratura, che si confonde con il film e lo fa proprio, attrice dalla recitazione mai urlata e mai mediterranea, trattenuta, come implosa. Il limite di The Lesson sta semmai nella sua esemplarità, nel suo essere davvero parabola e racconto didascalico sul bene e il male, nel suo farci la lezione su come basti poco per varcare la linea d’ombra tra il primo e il secondo. Ma è una dimostratività, una progrannaticità che non inficia un film ineludibile, di cui bisogna tenere conto.


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