Siamo in provincia, ci affacciamo sull’oceano, andiamo al liceo e intorno alla bella della classe aleggia da qualche giorno una notizia inquietante: sarebbe incinta! Impossibile, ma lei poco dopo con quella spavalderia tutta adolescenziale e tanta sicurezza conferma la notizia. Questo è l’inizio di un film, francese, che ci ricorda cosa sia l’adolescenza e che non ci fa rimpiangere di averla superata…. indenni!
Il titolo non fa mistero di quale sia il fulcro intorno al quale tutto ruota: 17 giovani, 17 adolescenti, 17 ragazze di 17 anni che frequentano lo stesso liceo e… tutte in dolce attesa! E la cosa più incredibile è che questa non sia l’idea bizzarra di un fantasioso sceneggiatore, bensì si basi su un fatto realmente accaduto qualche anno fa. Ci siamo solo spostati da una cittadina del Massachusetts all’altro lato dell’oceano, in uno dei tanti luoghi francesi desolatamente isolati, lambiti dall’Atlantico. Entrambi posti in cui la carenza di stimoli regna sovrana.
© Jerome Prebois
L’adolescenza è un periodo che tutti ricordiamo e molti vorrebbero riuscire a dimenticare, non si è né carne né pesce, si vorrebbe diventare grandi in fretta, non si sa stare al mondo e si è coscienti di tutto. Se a ciò si aggiunge una famiglia assente (probabilmente perché travolta da problemi contingenti), la voglia di emergere e gridare al mondo “io esisto” diviene incontenibile. Il modo per esprimere il proprio io di questo gruppo di ragazze è decisamente controcorrente: la gravidanza, così da uscire da una casa vuota ed entrare, anzi formare, una sorta di comune in cui occuparsi le une delle altre. Non è difficile comprendere quindi la voglia non solo di attenzione ma l’enorme carenza affettiva in cui le giovani stiano crescendo.
La pellicola ha un pregio: non è un pesante dramma con annessa critica alla società e neppure una leggera commediola scollacciata e sboccata che provochi facili risate. Registe e sceneggiatori sono stati delicati ed hanno cercato di comunicare il loro messaggio con poesia, cosa che però talvolta ci fa temere sia andata a discapito dell’incisività. Le giovani sono belle, acqua e sapone, nessuna con traumi strappalacrime e i riflettori sono solo per loro. Come i loro corpi cambiano, pure loro si modificano, anche se non sempre imboccando il sentiero più auspicabile. Lungo tutto questo percorso gli uomini saranno sempre assenti, si intravedono sporadicamente ma solo come parte di uno sbiadito sfondo, perché l’attenzione è sempre rivolta alle fanciulle. E, forse, è proprio questo che ci fa percepire la mancanza di un non so che.
© Jerome Prebois
Opera al femminile ma non femminista, destinata non solo a coloro che indossano tacchi alti. Il racconto è vivo e frizzante e non deprime, anche se è impossibile non percepire il retrogusto amaro. Però l’ardore e l’ardire delle protagoniste c’è, la fretta di conoscere sé ed il proprio corpo, peraltro ancora acerbo, ma anche la voglia di migliorare una situazione che si palesa senza uscita già ai loro giovani occhi, il fremere per non finire senza speranza come coloro le circondano e la spinta a trovare una via di fuga, seppur assurda, son sempre con noi in sala. E alla fine con semplicità e non per forza con totale aderenza alla realtà, le sorelle Coulin non dimenticano di chiudere il cerchio: il sogno si sgretola e le giovani nonostante tutto sono pur sempre adolescenti.