Chissà perché la maggior parte delle persone tra cui, soprattutto, le persone colte, pensano di non rientrare in quel “contadino” a cui fa riferimento il detto citato nel titolo di questo post! Chissà quale forma di sindrome narcisistica fa ritenere a parecchi di noi di non essere manipolabili o teleguidati, di non essere influenzabili o dominati mentalmente, di scegliere autonomamente le questioni di cui discutere!
In effetti è diffusa una ingenua sottovalutazione del ruolo dell’informazione, che nella società globalizzata e mediatica, determina i parametri per l’analisi di gran parte dei problemi, anzi per la definizione stessa di cosa è problema! Quasi nessuno crede che i termini in cui vengono posti i problemi siano definiti eteronomamente, “prima” che il cittadino, anche colto, li prenda in considerazione!
E allora di cosa parliamo, quando parliamo? Da dove cominciare?
La realtà effettiva dell’informazione e delle comunicazioni, oggi, è molto distante da quella immaginata da ognuno do noi. Basta considerare, infatti, che la maggior parte delle informazioni offerte dalle parti in causa, per esempio durante le competizioni elettorali, è fortemente influenzata e manipolata, soprattutto nei contesti, come quello italiano, in cui, in sostanza, l’informazione vive in assenza di vero pluralismo e in regime di quasi monopolio.
Inoltre è il caso di sottolineare che non è solo nel cosiddetto “antico regime” o sotto i totalitarismi che il “pubblico” politico è affare privato del monarca; in realtà, una delle ragioni per cui diventa sempre più problematico parlare di democrazia, nella nostra società attuale, è proprio il fatto che, oggi, sempre più spesso, la sfera “pubblica” sembra diventare, in realtà, “privata” o “privatizzata” (e da questo punto di vista in Italia probabilmente siamo più “avanti” di altre paesi!). Privata, prima di tutto, nel senso che le ”vere decisioni” sono prese a porte chiuse, nei corridoi o nei luoghi di incontro tra gruppi di pressione e “governanti” di turno. Al punto che è quasi un luogo comune ritenere che le decisioni che contano non sono prese nei luoghi ufficiali, in cui si presume che vengano prese; infatti, quando arrivano davanti ai Consigli dei ministri o alle Camere dei Deputati, i giochi sono già fatti. Tra l’altro, anche le motivazioni ( le “vere” motivazioni) sono per nulla trasparenti. Questo, anche nell’ipotesi, di “settimo grado”, che ci sia una chiara informazione sulle decisioni prese o da prendere!
È vero che la gente “istruita” potrebbe giungere, sebbene con una ricerca “ostinata” (nei “vicoli” del web o nei libri: fondamentale a questo scopo il libro di Ed. Herman e N. Chomsky, La fabbrica del consenso, Il Saggiatore), a una conoscenza dei problemi, forse vicina alla migliore possibile. Però, la gran parte delle persone istruite non fa così, e quindi, come i cittadini con minor istruzione, si basa spesso su informazioni del tutto inadeguate, o si affida alle notizie “drogate” dei giornali o delle televisioni.
Come è possibile allora dar vita a un corpo di cittadini capaci di individuare le questioni rilevanti, capaci di produrre giudizi adeguatamente illuminati sui problemi pubblici, sulle questioni in campo o sui “termini” in cui poter delegare ad altri senza preoccupazione l’autorità di prendere le decisioni?
Tanto più che per il consenso, oggi, non è necessaria più la mediazione delle forme rappresentative e la discussione pubblica, ma basta la “cattura” della platea mediatica: attraverso cui tecniche di marketing aziendale si fanno tecnica politica!
Perché dovremmo ritenerci, di fronte alle questioni pubbliche, più in grado di valutare di quanto lo siamo di fronte alla pubblicità commerciale?
In più occorre, a questo proposito, tener ben presente, come sottolinea Manuel Castells, in un saggio su Comunicazione, Potere e Contropotere nella network society, “la pratica …del (cosiddetto)… “indexing”, per cui direttori e giornalisti limitano il range di posizioni e temi politici da riferire a quelli espressi in seno all’establishment politico mainstream, influendo pesantemente sul processo di reporting dettato dagli eventi”. Del resto come spiegare la dura lotta per controllo dell’informazione e dei media?
Non dovrebbe sembrare eccessivo, allora, che la questione dell’informazione appaia, nella società globalizzata e mediatica, “la” questione della democrazia, la questione pregiudiziale per capire, affrontare e tentare di risolvere le altre questioni!
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