Attenzione, cari lettori! Un avvertimento importante: la mia orazione di oggi sarà veicolata da quattro film dei quali, per motivi che spiegherò in seguito, sono costretto a rivelare il finale. I film sono i seguenti: V per Vendetta, Watchmen, Il Cavaliere Oscuro e Unbreakable. Amando il cinema come poche altre cose al mondo, è mio desiderio ammonirvi a non leggere oltre in caso non abbiate ancora visto i titoli suddetti. Se invece lo avete fatto (o vi ritenete in grado di sopravvivere al trauma), tra queste pagine non correrete alcun pericolo. Buon viaggio!
L’eroe è inossidabile, incrollabile, senza macchia, senza compromessi. Lo è perché altri non possono esserlo, perché tutti noi abbiamo bisogno di un punto di riferimento costante, qualcosa che non sia soggetto alle continue incertezze e mutamenti che affliggono il cuore umano e più in generale l’intera materia. Soprattutto il supereroe è tale perché noi dobbiamo pensare di meritarci un salvatore. Ma non tutti i superuomini sono Superman: lui è un essere di pura luce che ricaccia i demoni nelle tenebre. Combatte il male e questo è quanto. Ma anche in un mondo dai contorni netti, un mondo di assoluto bianco e nero come quello dei supereroi ci sono zone grigie dove la complessità dell’essere esplode e si rifiuta di farsi imprigionare nel riquadro di una vignetta (o di un’inquadratura).
Già in precedenza abbiamo parlato dell’eroe aberrante di nome V (vedi L’Equilibrio Ristabilito) e di come egli, pur usando metodi violenti come l’omicidio per raggiungere il suo scopo, abbia poi passato il suo testimone a persone diverse di modo che tutta la violenza morisse con lui. Tenendo a mente questo primo tassello del mosaico esploriamo la tematica di un altro film (forse meno perfetto, ma altrettanto visionario e quasi altrettanto profondo) basato anch’esso sullo spropositato genio creativo dell’autore di graphic novel Alan Moore: Watchmen. La storia è ambientata in un 1985 alternativo, in una cupa versione dell’America popolata da vecchi (e mai così umani) supereroi in pensione chiamati Watchmen. Grazie all’intervento del solo supereroe al mondo dotato di superpoteri (un essere di pura energia e dallo sconfinato potere di nome Dr. Manhattan), la guerra in Vietnam ha avuto esito positivo per gli Stati Uniti e Nixon è stato eletto per la terza volta. Ma la paura di un’America affiancata da questa sorta di “divinità” ha spinto l’Unione Sovietica sull’orlo di un attacco nucleare che minaccia di distruggere la vita sulla terra. La storia è assai complessa e meriterebbe ben più attenzione, ma vi basti sapere, che uno di questi eroi in costume, tale Ozymandias, al fine di evitare il conflitto nucleare, decide di provocare egli stesso la distruzione di alcune delle più importanti città del mondo facendo ricadere la colpa sul Dr. Manhattan. Contro tutte le obiezioni degli altri Watchmen, questo terribile gesto di distruzione fa si che gli Stati Uniti e l’U.R.S.S. appianino le loro divergenze e si alleino per far fronte alla presunta minaccia del Dr. Manhattan. Così la pace nel mondo viene insospettabilmente ristabilita. Il finale resta tuttavia aperto e non è propriamente un happy ending (considerando che l’unico dei supereroi che si oppone fino alla fine a questo discutibile atto viene ucciso), ma lascia comunque presagire una certa positività.
Voglio ora citarvi un altro interessante finale, quello del Cavaliere Oscuro, l’ultima (per ora) pellicola dedicata a Batman. Il nostro eroe tenebroso è in lotta con il malvagio Joker per l’anima della città di Gotham. Con la sua ultima mossa, Joker riesce a spingere il paladino della città, il giovane e rampante procuratore distrettuale Dent, all’omicidio e alla follia. Batman lo ferma, ma Dent rimane ucciso lasciando la città senza un punto di riferimento costante, senza un salvatore. Così Batman prende una drastica decisione: si assume la responsabilità degli omicidi perpetrati da Dent, trasformando quest’ultimo in un “santo martire” e se stesso in un fuggiasco. Questo perché Batman sa di essere l’eroe che Gotham merita, ma non quello di cui ha bisogno in quel momento. Sa che a volte la verità non basta e che a volte la gente merita qualcosa di più, un orizzonte di perfezione a cui tendere, anche se quell’orizzonte è solo un’illusione ottica.
L’ultimo esempio che vorrei portare alla vostra attenzione è la straordinaria conclusione del metafumettistico Unbreakable. Sicuri di voler andare avanti? D’accordo.
Elija Price, collezionista di fumetti, affetto da una malattia che rende le sue ossa della consistenza del vetro, istruisce l’unico superstite di un terribile incidente ferroviario David Dunn sulla sua natura. Gli espone la possibilità che egli sia l’eroe di cui tutti i fumetti parlano, la versione concreta e meno pittoresca del superuomo, un essere “infrangibile” inviato per proteggere l’umanità. David scopre infatti le sue capacità, fra le quali, quella di percepire il male che le persone hanno fatto soltanto toccandole. Quando va da Elija per ringraziarlo, gli stringe la mano e scopre che è stato lo stesso Elija a provocare l’incidente di cui è stato vittima ed altri atti terroristici in precedenza. David è scioccato. Ma Elija gli spiega: “Tutti quegli innumerevoli sacrifici… solo per trovare te. Ma ti ho trovato.” Se la figura di David resta quella dell’eroe, quella di Elija si scopre assai più complessa. “Nei fumetti lo sai come si fa a capire chi è il cattivo più temibile? È l’esatto opposto dell’eroe. E molto spesso sono amici, come io e te.” Dice Elija a David. Cos’è Elija? Un mentore? Un antagonista? Entrambe le cose?
“Non sono un cattivo da fumetto.” Si difende con ironia Ozymandias, quando gli altri Watchmen scoprono il suo piano di distruzione. E così anche Batman alla fine si mostra non più come semplice eroe, ma come qualcosa di più complesso.
Eccoci finalmente al punto. Tutto è relativo. E allora cosa è bene? Cosa è male?
Lungi dall’approvare a priori la tesi machiavellica del fine che giustifica i mezzi, viene da chiedersi fino a che punto siamo in grado di discernere il giusto dallo sbagliato.
“Molti di quelli che vivono meritano la morte e molti di quelli che muoiono meritano la vita. Tu sei in grado di giudicare?”
Abbiamo adesso discusso di storie in cui la più discutibile delle vie sembra essere l’unico sistema per giungere ad un bene superiore. Ma quale bene può considerarsi definitivo?
Il punto è che, come sempre, ci sfugge il quadro completo. Come esseri umani, dobbiamo accettare che nessuna delle battaglie che combattiamo può considerarsi una soluzione definitiva. Il massimo che possiamo fare è andare avanti, cercando di agire nel modo che ci sembra più giusto con la massima umiltà, senza mai giudicare noi stessi o condannare gli altri, consci del fatto che, come diceva Nietzsche, si debba cercare di vedere al di là del bene e del male.
Lorenzo F.L. Pelosini