Al diavolo la coerenza

Da Marcofre

C’è stato un tempo, ed è durato anni, nel quale Francis Scott Fitzgerald era ai miei occhi un autore detestabile. Quel suo modo di vivere, in Costa Azzurra. Mi dava l’impressione di essere un autore disimpegnato e perciò da evitare. Che cosa poteva insegnare uno che beveva, scialacquava il denaro, e faceva la bella vita?
Per fortuna si cambia.

Capita per esempio che Silone dichiari: è tirannico immaginare una letteratura impegnata. E se lo diceva lui che aveva fatto dell’impegno una scelta di vita, allora è meglio crederci. Da allora ho cominciato a guardare in modo differente a certi autori.
Vale a dire: ho separato la vita e mi sono concentrato sulle opere. Su quello che avevano da dire. E posso garantire che di solito ne è valsa la pena.

Comprendo bene il bisogno di sapere cosa c’è oltre: il dietro le quinte insomma. O come la pensa un autore; ma sono dettagli che possono essere ignorati senza troppi rimpianti.

La lezione che si può ricavare da tutto questo? Non è necessario portare i propri pregiudizi anche nella narrativa. C’è un mucchio di spazio al di fuori di essa dove possiamo esercitarli, se proprio vogliamo e dobbiamo. Di solito gli scrittori riescono in questa bizzarra opera di separazione.
Per esempio Knut Hamsun, che scrisse il necrologio per Hitler, e regalò la medaglia del premio Nobel a Goebbels, è anche l’autore di “Fame”, un gran romanzo.

Si ritiene che uno scrittore sia un essere superiore alla media: qualcuno che ha uno spirito sensibile, un’intelligenza raffinata senza essere fredda. Anche: ma è un mucchio di altre cose meno nobili. Costui o costei, scrivono soprattutto grazie ai loro difetti mostruosi; non è detto che siano di impedimento alla scrittura.

Il punto è che si deve cercare di ricondurre l’attenzione sull’opera. Perché spesso chi scrive è un po’ particolare. Tolstoj diceva: “Siate casti”, ed ebbe 13 figli, e uno di essi da una contadina (e non lo riconobbe).
Dostoevskij aveva delle antipatie così marcate nei confronti di certi popoli, da risultare quasi odioso. Se però ci lasciamo andare alla lettura de “I fratelli Karamazov”, cambia tutto.

L’ebanista deve svolgere il proprio lavoro al meglio; pure lo scrittore. Su quello viene giudicato, e pagato. Le storie, la loro efficacia e valore. Il problema sorge quando queste sono talmente forti e convincenti che si vorrebbe saperne di più. E si resta delusi, perché magari il loro autore odia Bach. Scuoia con le sue mani i conigli, e via discorrendo.

Come dite? La coerenza? Non si può cercare la coerenza in uno scrittore. Se proprio la volete a tutti i costi, cercatela tra le mucche. Vanno al pascolo, brucano l’erba, poi c’è la mungitura, e si torna in stalla. Questa è la coerenza. Vi piace?
A me, no.


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