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Al Direttore di VareseNews

Creato il 18 maggio 2010 da Paolo Franchini

Pubblico anche qui una lettera che ho spedito ieri al Direttore di VareseNews, in attesa – come mi auguro – che anche tale testata le dia spazio.

Gentile Direttore,

ho letto con interesse il Suo intervento di ieri relativo alla chiusura delle varie rassegne provinciali del libro e, lo ammetto, molti punti li trovo più che condivisibili. Molti, ci tengo a precisarlo, non tutti.

Senza polemica (beh, a dire il vero, un po’ di polemica c’è…) mi meraviglia leggere quanto Lei si lamenti con forza anche della “totale assenza di attenzione al mondo del libro” sebbene, in un certo modo, anche il Suo giornale sia complice di questa grave carenza. E in modo continuativo e ostinato, per giunta.

È sotto gli occhi di tutti, infatti, la quantità di spazi pubblicitari offerti da VareseNews a editori che, in realtà, editori non sono: stampare libri chiedendo un contributo agli autori stessi, o garantire un servizio di “self-publishing” (ovvero di auto-pubblicazione) o di “print-on-demand” (stampa a richiesta) significa uccidere i libri. Quelli veri, intendo.

Tutti scrittori, pubblica il tuo romanzo, libera il manoscritto che hai nel cassetto, diventa protagonista insieme alla tua storia, fai conoscere al mondo la tua poesia… Gli slogan si sprecano e, intanto, la cultura muore. E con lei, inevitabilmente, anche le manifestazioni e le varie rassegne.

Troppi tipografi (anzi, credo sia meglio chiamarli “diversamente editori” per non urtare la loro suscettibilità) non fanno che vendere illusioni e, soprattutto, spesso libri di scarsa qualità. Nessuna cernita, zero editing, niente promozione. Perché tutto fa brodo. Pardon, volevo dire denaro.

Proporre un manoscritto a un editore è una cosa, entrare in tipografia è fare altro. Come tanti, ho provato sulla mia pelle (e ancora provo) quanto bruci un rifiuto, ma è giusto così: se ho scritto una “boiata”, per quale motivo dovrei vederla pubblicata per forza? E perché la gente dovrebbe trovarla sugli scaffali di una libreria?

I veri editori investono su uno scrittore, soprattutto quando si tratta di un esordiente. Chiedere un “contributo” per pubblicare un libro (anche se si traduce “solo” in termini di copie che l’autore deve acquistarsi) non vuol dire essere un editore. E, talvolta, nemmeno un tipografo.

È anche per tutti questi motivi che, per il prossimo 31 maggio, propagandata sino a oggi soprattutto dal web, è stata indetta la prima giornata nazionale contro l’editoria a pagamento. Che siate persone che scrivono o solo “semplici” lettori, partecipate. Non costa nulla. Non è come voler fare per forza lo scrittore…

Paolo Franchini



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