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Al mercato

Creato il 12 settembre 2011 da Frankezze

Al mercato

Negli ultimi tempi, le mie notti sono agitate da un brutto sogno ricorrente: sogno di svegliarmi all’alba, madido di sudore (un classico), e, in preda ad un’angoscia misteriosa, di sentire la necessità di fiondarmi al più vicino mercato coperto.
Assecondo la necessità. Mi fiondo al mercato coperto. Entro, non c’è nessuno, ma i banchi sono pieni. Dalla verdura agli ortaggi, dai salumi ai formaggi. Il caciocavallo podolico, una prelibatezza. In fondo allo stanzone, si staglia lucente il banco pescheria. Il pesce è freschissimo, brilla riflettendo il ghiaccio del neon sul soffitto. In evidenza, un pescespada addobbato come il maiale in porchetta dei furgoni ambulanti in fiera. Macabro.

Il pescivendolo appare da dietro una tenda, e finalmente capisco perché sono lì. E’ con lui che voglio parlare, anche perché non c’è nessun altro. E io ho bisogno di capire.

Sono mesi che leggo dell’importanza di piacere ai mercati. Per ogni mossa del governo, tutti, giornalisti, economisti, automobilisti, linotipisti, fancazzisti a chiedersi “Ma piacerà ai mercati? Come reagiranno i mercati? Oddio, e se i mercati rigettassero tal provvedimento?”. Circolano voci che Tremonti prima di andare al bagno debba  valutare le possibili reazioni dei mercati.
Queste discussioni hanno pian piano alimentato in me un desiderio inconscio di chiarezza, visto che non ci ho mai capito una mazza. Nel senso che anche leggendo le definizioni dei vari termini come Cds, hedge fund, spread, btp-bund ,bpt, Cccp eccetera, e anche leggendo articoli esplicativi sul funzionamento di tali giochi, il mio cervello pragmatico concludeva in modo perentorio: “ma che stracazzo dicono questi?!! Perché il mio futuro deve dipendere dalle follie virtuali di una compagine di giocatori d’azzardo, che se vincono, vincono loro, se perdono, perdiamo soprattutto noi?”

Ora sono qui, nel cuore dei mercati. E lo chiedo a uno dei responsabili. Dovrà spiegarmelo, non ci sono cazzi. E dovrà anche spiegarmi perché vedo esposto solo il pesce, voglio sapere dove tiene nascosti i derivati.
“Uagliò, ma ce stè dic? La vù u cozz? C’nan la vù vattìn!”, mi risponde, indicandomi l’angolo alla mia destra in cui aveva ammucchiato chilate di cozze nere e un piccolo cartello con su scritto cozze belle.

D’improvviso inizia a parlarmi in italiano standard, mentre con gesti veloci e precisi apre alcune cozze, riponendole su un vassoio. “Scommettiamo che se lasciamo qui queste cozze e le mangi domani, molto probabilmente muori?”, e io “Certo che no, non sono mica un coglione”, non fino a questo punto.
“Ecco, è così che funziona. Scommettono sul fallimento di uno Stato, ma sono essi stessi che possono decidere l’esito. Vedi l’Irlanda, vedi la Grecia.”, mi dice con una pacatezza inquietante.
“E sull’Italia hanno scommesso?”
“Pare di sì…me mò mangj’t chiss cozz pìccià s’ fascn’ brìtt’”, dice spremendoci un limone sopra.
Cazzo no, il limone sul crudo no, non lo sopporto, altera il retrogusto amaro, e a me piace che scenda amaro, amarissimo in gola.
Bestemmiando abbandono lo stato onirico. Sono madido di sudore (di nuovo, un classico). Ripenso al sogno. Avverto una forte nausea.

Il futuro è nero, come la merda al mattino, dopo una sbronza di vino.


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