Una grande mostra, la prima e la più completa raccolta delle immagini che hanno fatto la storia dell’Apartheid, ideata dall’ ICP International Center of Photography di New York.
Curata daOkwui Enwezor, in passato adjunct curator all’ICP e oggi direttore della Haus der Kunst di Monaco dove la mostra è approdata in primavera dopo il grande successo americano, l’esposizione arriva in Italia per l’estate 2013 promossa e prodotta da Comune di Milano – Cultura , PAC e CIVITA.
Pietra miliare nel suo genere e frutto di oltre sei anni di ricerche, il progetto raccoglie il lavoro di quasi 70 fotografi, artisti e registi, dimostrando il potere dell’immagine – dal saggio fotografico al reportage, dall’analisi sociale al fotogiornalismo e all’arte – di registrare e analizzare l’eredità dell’apartheid e i suoi effetti sulla vita quotidiana in Sud Africa.
Complessa, intensa, evocativa e drammatica, la mostra analizza oltre 60 anni di produzione illustrata e fotografica ormai parte della memoria storica e della moderna identità sudafricana. Fotografie, opere d’arte, film, video, documenti, poster e periodici: un ricco mosaico di materiali, molti dei quali raramente esposti insieme, documenta uno dei periodi storici più importanti del ventesimo secolo, le sue conseguenze tuttora durature sulla società sudafricana e l’importanza del ruolo di Nelson Mandela.
L’Apartheid, parola olandese composta da “separato” (apart) e “quartiere” (heid), è stata la piattaforma politica del nazionalismo afrikaner prima e dopo la seconda guerra mondiale. Un sistema creato appositamente per promuovere la segregazione razziale e mantenere il potere nelle mani dei bianchi. Nel 1948, dopo la vittoria a sorpresa dell’Afrikaner National Party, l’apartheid è stata introdotta come politica ufficiale dello stato e si è imposta attraverso un’ampia serie di programmi legislativi. Col tempo il sistema dell’apartheid è diventato sempre più spietato e violento nei confronti degli africani e delle altre comunità non bianche. Non ha solo trasformato il moderno significato politico di cittadinanza, ma ha anche inventato una società completamente nuova sia a livello pratico che a livello giuridico: una riorganizzazione delle strutture civili, economiche e politiche che ha coinvolto anche gli aspetti più mondani dell’esistenza, dalla casa al tempo libero, dai trasporti all’istruzione, dal turismo alla religione e ai commerci. L’apartheid ha trasformato le istituzioni mantenendole in vita con l’unico scopo di negare e privare dei propri diritti civili di base africani, meticci e asiatici.
È in questo contesto che nasce la fotografia del Sud Africa così come la conosciamo oggi. La mostra parte dall’idea che la salita al potere del Partito Nazionale Afrikaner e la conseguente introduzione dell’apartheid come suo fondamento legale abbiano modificato la percezione del paese da una realtà puramente coloniale, basata sulla segregazione razziale, a una realtà vivacemente dibattuta, basata su ideali di uguaglianza, democrazia e diritti civili. La fotografia ha colto quasi immediatamente questo cambiamento e ha trasformato il proprio linguaggio da mezzo puramente antropologico a strumento sociale. Questa è la ragione per cui nessuno ha saputo cogliere la situazione del Sud Africa e della lotta all’apartheid meglio, in modo più critico e incisivo, con una profonda complessità illustrativa e una penetrante introspezione psicologica, di quanto abbiano fatto i fotografi sudafricani. Lo scopo della mostra è quello di far conoscere i protagonisti di questo straordinario cambiamento.
Oltre al lavoro dei membri del Drum Magazine negli anni ’50, dell’Afrapix Collective degli anni ’80 e ai reportage del cosiddetto Bang Bang Club, saranno esposte anche eccezionali opere di fotografi sudafricani all’avanguardia quali Leon Levson, Eli Weinberg, David Goldblatt, Peter Magubane, Alf Khumalo, Jurgen Schadeberg, Sam Nzima, Ernest Cole, George Hallet, Omar Badsha, Gideon Mendel, Paul Weinberg, Kevin Carter, Joao Silva e Greg Marinovich. In mostra anche le opere di una nuova generazione di fotografi sudafricani, tra cui Sabelo Mlangeni e Thabiso Sekgale, che esplorano le conseguenze che ancora oggi l’apartheid produce nel paese.
Insieme a loro anche artisti contemporanei quali Adrian Piper, Sue Williamson, Jo Ractliffe, Jane Alexander, Santu Mofokeng, Guy Tillim, Hans Haacke e un video che raccoglie 10 animazioni di William Kentridge per un totale di quasi un’ora di proiezione.
La mostra è accompagnata dalla versione originale del catalogo in inglese, curato da Okwui Enwezor e Rory Bester (co-curatore dell’edizione newyorchese dell’esposizione) con saggi degli stessi Enwezor e Bester nonché di altri illustri studiosi della materia, tra cui Darren Newbury, Achille Mbembe, Patricia Hayes, Collin Richards, Khwezi Gule e Michael Godby.
La mostra al PAC è realizzata con il sostegno di TOD’S sponsor dell’attività espositiva annuale del Padiglione milanese.
RISE AND FALL OF APARTHEID: Photography and the Bureaucracy of Everyday Life è stata realizzata grazie al contributo di Mark McCain e Caro Macdonald/Eye and I, della Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, del National Endowment for the Arts, della Joseph and Joan Cullman Foundation for the Arts, di Deborah Jerome e Peter Guggenheimer, del New York City Department Cultural insieme con il City Council e della Robert Mapplethorpe Foundation in onore di 30 anni di servizio dedicato al ICP da Willis E. Hartshorn.