Ne abbiamo sentito parlare e la nostra fantasia ha galoppato, ogni volta, a briglia sciolte. Ma il visitarla è tutt’altra cosa. E farlo poi in un Egitto, e in una città metropoli, come il Cairo, con le caratteristiche di un autentico alveare umano (18 milioni di abitanti), oggi più confusa e problematica che mai per le note vicende politiche, non è da tutti.
Parlo del complesso cimiteriale egiziano di Al Qarafa (Farag, Barquq, Barsbay,Inal e Qaitbay) di cui mi dettaglia, e con ricchezza di particolari, un’amica, giovane giornalista free-lance, rientrata in Italia che è poco.
Al Qarafa –mi precisa Annette – è un enorme cimitero disseminato di tombe e mausolei di enorme fascino ma, soprattutto,oggi è caoticamente super ricca di abitazioni civili, di negozi addirittura, di laboratori e di scuole.
Un microcosmo a tutti gli effetti, pullulante di gente di ogni età. Una città nella città, a dirla tutta.
Chi, straniero, si addentra a visitarla solitamente è in cerca più che altro di folklore e, purtroppo, non sempre è rispettoso di tradizioni culturali, che semmai risalgono all’epoca preislamica e che procurano il “capogiro”, se soltanto ci si azzarda a contare gli anni all’indietro nel tempo.
L’estensione di quella che, da noi, si chiama ormai, per consuetudine, la “città dei morti”, è pari a circa dodici chilometri in lunghezza su mille ettari di terreno in larghezza e conta almeno un milione di abitanti. Ma il Cairo, si sa, ospita 18 milioni di abitanti tondi tondi. Se non di più. Pertanto questa cellula dell’intero organismo è poco o quasi nulla.
E qui i numeri a più cifre pare che non facciano troppa paura a nessuno.
L’unico inconveniente, per chi lo pratica da sempre (la povertà genera assuefazione), è piuttosto lo stare ammassati degli abitanti, uomini, donne, anziani, bambini, tra le numerose tombe dei cinque complessi funerari principali. Nessuna privacy.
Questi monumenti funerari risalgono all’epoca dei sultani mamelucchi e cioè a dieci secoli fa e le donne, specie quelle più avanti negli anni (ma non lo disdegnano neanche le più giovani in quanto le tradizioni laggiù sono ancora un valore, che merita rispetto), di confessione musulmana, ogni venerdì vanno lì a pregare. Mentre gli uomini si recano nella moschea vicina.
La “città dei morti” era, è stata ed è abitata tuttora da chi pratica mestieri, che hanno a che vedere con il cimitero. Come lo sono i becchini, i tagliatori di pietra o i guardiani. Oggi, però, non necessariamente.
L’indigenza e la carenza di alloggi al Cairo spiegano moltissimo tutto e il contrario di tutto.
Infatti la municipalità del luogo, pur riluttante, ha dovuto fornire agli abitanti di quest’insolita città persino acqua e gas, riconoscendone , a denti stretti, l’ esistenza di fatto.
E accettandone ,dunque,la contaminazione “morti-vivi”.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)